Loiola XXI

Lugar de encuentro abierto a seguidor@s de S. Ignacio de Loyola esperando construir un mundo mejor


Deja un comentario

Viri probati y mujeres en el clero de la Amazonia. Comentario.

Sinodo, il vescovo Kräutler: “Preti sposati unica alternativa in Amazzonia. Sì al diaconato femminile, dobbiamo valorizzare le donne”

Il presule austriaco, missionario in Brasile dagli anni ’60: «Migliaia di comunità hanno l’Eucarestia solo 2-3 volte l’anno, sono esclusi dal contesto della Chiesa». Il Nobel per la Pace Carlos Nobre: «L’Amazzonia a rischio collasso». I Padri sinodali: confessare i peccati ecologici

Città del Vaticano

Sui viri probati afferma: «Con tutta sincerità dico: non c’è altra possibilità, i popoli indigeni non capiscono il celibato». Mentre sul ruolo delle donne dice: «Il diaconato femminile è un argomento del Sinodo. I due terzi delle comunità dell’Amazzonia senza sacerdote sono coordinate da donne. Allora ci dobbiamo pensare». Schietto e a tratti ironico, monsignor Erwin Kräutler, vescovo emerito di Xingu in Brasile, ha tenuto banco durante il quotidiano briefing in Sala Stampa vaticana sui lavori del Sinodo sull’Amazzonia, giunti alla quinta congregazione generale.

Sollecitato dai giornalisti, il prelato austriaco – tra i protagonisti di questo Sinodo, inserito dal Papa nel Consiglio pre-sinodale – è entrato subito nel vivo delle due questioni che all’interno dell’aula vaticana tengono acceso il dibattito, mentre all’esterno suscitano le preoccupazioni di chi vede la Chiesa cattolica a rischio eresia. Nelle parole del vescovo non c’è alcuna intenzione di replicare alle polemiche o di parare colpi, ma solo la volontà di sottoporre agli occhi del mondo, nel modo più «franco» possibile, le emergenze che vive quotidianamente l’Amazzonia dal punto di vista ecologico ed ecclesiale.

Una terra che Kräutler conosce a fondo: missionario dal 1965 in Brasile, è stato vescovo della Prelatura dello Xingu nello Stato del Parà, la diocesi più estesa del Paese, dal 1981 al 2015. Da oltre un decennio è costretto a vivere sotto scorta dopo aver ricevuto minacce di morte a seguito delle sue coraggiose denunce contro gli omicidi e gli abusi di cui sono vittime le popolazioni indigene. Anche oggi, dal banco dei relatori, il vescovo non ha usato mezze misure nel scagliarsi contro le grandi innovazioni tecnologiche che hanno invaso la foresta. Vendute all’estero come modelli di sviluppo ed energia pulita, internamente hanno provocato «conseguenze devastanti» sul territorio e sugli abitanti delle diverse regioni alle quali era stato promesso «il blu del cielo», ha detto.

Un esempio è la centrale di Belo Monte, il complesso idroelettrico ancora in costruzione che sarà la seconda diga più grande del Brasile e la terza al mondo. Kräutler, residente in quei luoghi, la definisce un «attacco all’ecosistema» visti i risultati provocati finora: aree inondate, isole disboscate, intere famiglie cacciate dalle loro terre e trasferite «in case prefabbricate di cemento minuscole dove può vivere al massimo una famiglia di due figli».

Tutte scene che il vescovo ha visto con i suoi stessi occhi, come ci tiene a sottolineare: «Noi gridiamo, gridiamo contro tutto questo ma nessuno ascolta. I popoli locali non sono mai stati consultati, non hanno diritto di esprimere la propria opinione».

È stato questo uno dei temi che il presule austriaco ha sottoposto al Papa durante un’udienza privata del 4 aprile 2014 (quindi due anni prima della pubblicazione della enciclica Laudato si’), nel ruolo di segretario della Commissione episcopale per l’Amazzonia. «Ho presentato al Santo Padre tre punti: la distruzione dell’Amazzonia, le minacce di essere rasa al suolo; la tutela dei diritti dei popoli indigeni; l’Eucarestia».

In particolare su quest’ultimo punto il vescovo missionario si è soffermato durante il briefing, spiegando che attualmente nella Pan-Amazzonia «migliaia di comunità che non hanno l’Eucarestia se non 2-3 volte l’anno. Per noi cattolici è l’apice della fede, Gesù Cristo ha detto: “Fate questo in memoria di me”, non quando volete, come volete… Quindi questi popoli sono praticamente esclusi dal contesto della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II affermava che non esiste la Chiesa se non vicino all’altare. Ecco, ho detto a Papa Francesco che questi popoli non hanno un altare. Vogliamo che questi nostri fratelli non abbiamo solo il tavolo della parola ma anche della Eucarestia».

Ma in zone del mondo dove le Diocesi sono estese quanto intere nazioni e contano 60 preti al massimo o 14 al minimo, come si fa ad assicurare la celebrazione della messa ai fedeli ogni domenica? Da qui la soluzione dei viri probati, cioè l’ordinazione di uomini anziani, sposati e di provata fede residenti in una comunità sperduta, in modo che possano distribuire i sacramenti.

Sul tema si stanno interrogando nelle varie congregazioni generali i Padri Sinodali, come ha riferito il prefetto della Comunicazione vaticana Paolo Ruffini a inizio briefing, spiegando che «si è preso nota che questa legge, come tutte le leggi umane, può avere delle eccezioni per alcune situazioni concrete». Non manca, però, chi nell’assemblea pensa che non sia questa la risposta giusta a tale problematica e che, anzi, sarebbe meglio «pregare Dio che mandi vocazioni» o portare avanti una «formazione missionaria con identità amazzonica, integrale e integrata».

Monsignor Kräutler, invece, afferma senza troppa enfasi che «non c’è altra possibilità». A parlare è la sua esperienza diretta con i nativi: «Gli indigeni non intendono il celibato», ha spiegato in risposta ad una domanda del giornalista del Tablet, Christopher Lamb, che ha chiesto pubblicamente scusa per le manifestazioni di «razzismo e xenofobia» verso gli indigeni da parte di «testate cattoliche».

«Quante volte, arrivando in un villaggio, mi hanno domandato dove fosse mia moglie. Alla mia risposta che non sono sposato si sono inteneriti, quasi come se gli avessi fatto pena, mi dicevano: “poveretto”. Sarò franco: i popoli indigeni, almeno quelli che ho conosciuto, non riescono questa cosa che l’uomo non sia sposato, che non abbia a fianco una donna che si occupa della casa», ha raccontato Kräutler.

Per lui e per «due terzi» dei vescovi al Sinodo sembra essere quella dei viri probati l’unica strada da percorrere, sempre pensando ad un bene maggiore e cioè il fatto che questa gente possa accedere ai sacramenti e crescere nella fede. Invece «abbiamo messo il celibato sopra l’Eucarestia», ha detto il presule.

Che ha posto in luce l’altro nodo che dovranno sciogliere in queste tre settimane i 184 Padri Sinodali: il ruolo delle donne. «I due terzi di queste comunità indigene senza sacerdoti sono coordinate da donne. E allora? Cosa facciamo? Ci dobbiamo pensare. Si parla tanto della valorizzazione della donna, ma cosa vuol dire? “Sì sei brava, hai un valore”. E lei ci dirà: “Sì, grazie”…Abbiamo bisogno di cose concrete: penso al diaconato femminile: perché no?», ha affermato il vescovo. E ad un gruppo di giornalisti a margine della conferenza ha detto che sarebbe favorevole anche al sacerdozio femminile: «Non mi opporrei. Non è nelle discussioni del Sinodo, ma si faranno passi avanti».

Idee che il vescovo ha sostanzialmente già espresso nel suo libro del 2016 “Abbi Coraggio, cambia ora il mondo e la Chiesa!” (Ed. Tyrolia), che già gli aveva attirato le critiche delle fronde cattoliche più conservatrici. A loro e a chi oggi lo accusa di oltranzismo sembra essere rivolta la risposta data durante il briefing: «Io prego molto, non abbiate paura. Ho qui il mio breviario, ce l’ho anche sul cellulare, ho anche il Rosario. E mi impegno per questo popolo, vedo donne e bambini che piangono, uomini che non sanno come sarà il loro futuro, e questo ci tocca profondamente».

«Come Chiesa non possiamo tacere», ha insistito, «abbiamo l’obbligo di attirare l’attenzione sulle povertà di tante famiglie» per non finire come nel caso degli «incendi criminali» che «sono sotto gli occhi di tutti ma non ne parla più nessuno». «Il Papa ha convocato questo Sinodo per richiamare il mondo sulle popolazioni indigene. Oggi cosa succede? È in atto una campagna anti-indigeni da parte degli stessi governi che li vedono come peso, zavorra, impedimento al cosiddetto progresso… Siamo davanti ad un bivio e va detto al popolo che cosa sta accadendo».

Di «bivio» ha parlato anche lo scienziato Carlos Alfonso Nobre, scienziato, Premio Nobel per la Pace 2007, intervenuto al briefing dopo la dottoressa Ima Célia Guimarães Vieira, membro della Commissione Nazionale per il Medio- ambiente Conama (Brasile).

Quello del professore è un vero e proprio allarme: «Siamo vicini al collasso dell’Amazzonia. Molti studi hanno dimostrato che se passassimo dall’attuale 15% al 20-25% della deforestazione, cominceremmo a entrare in un ciclo irreversibile di scomparsa della foresta che diventerebbe una grande savana. Abbiamo 15-20 anni di tempo, gli stessi che dobbiamo impiegare per ridurre le emissioni di Co2. Siamo molto vicini a un punto di non ritorno».

La scienza, ha aggiunto Nobre, oltre ad evidenziare i rischi propone anche delle soluzioni: alcune di queste sono riportate in un documento di una decina di pagine diffuso nell’Aula del Sinodo. «E fortunatamente ora la Chiesa ascolta la voce della scienza». Tanto che nell’aula del Sinodo è risuonata la parola «ecocidio», ovvero tutti quei soprusi contro la «casa comune», creazione di Dio, da confessare al pari dei «peccati tradizionali».


Deja un comentario

El Papa al clero de Madagascar

Papa a los consagrados: Derrotar al mal espíritu en su propio terreno

La última actividad pública del Santo Padre en Madagascar, del domingo 8 de septiembre, fue su encuentro con los sacerdotes, consagrados y seminaristas en el Colegio San Miguel de Antananarivo

María Fernanda Bernasconi – Ciudad del Vaticano

Tras ser acogido por el obispo Presidente de la Comisión Episcopal de los Religiosos en el campo deportivo del Colegio San Miguel – que se encuentra en el barrio de Amparibe y que fue fundado por algunos misioneros jesuitas franceses – el Papa Francisco hizo su ingreso saludando a los presentes mientras se entonaban cantos de alegría.

Después del breve saludo de Suzanne Marianne Raharisoa, Presidenta de la Conferencia de las Religiosas, el Santo Padre comenzó agradeciendo a estos queridos hermanos y hermanas su cálida bienvenida. Y afirmó que deseaba dirigir sus primeras palabras especialmente a todos los sacerdotes, consagradas y consagrados que no pudieron viajar por un problema de salud, el peso de los años o por alguna complicación.

“ Por favor no nos dejemos robar la alegría misionera ”

En Madagascar signos de una Iglesia viva y pujante

Al terminar su visita a Madagascar el Papa puso de manifiesto que al ver su alegría, y recordando también todo lo que él mismo vivió en tan poco tiempo en su isla, le brotaban del corazón esas palabras de Jesús en el Evangelio de Lucas cuando, estremecido de gozo, dijo:

“ Te doy gracias, Padre, Señor del cielo y de la tierra, porque has escondido estas cosas a los sabios y entendidos, y las has revelado a los pequeños ”

Y agregó que este gozo los confirmaba sus testimonios porque, aun lo que ellos mismos expresan “como problemáticas”, son “signos de una Iglesia viva, pujante, en búsqueda de ser cada día presencia del Señor”.

“ Esta realidad es una invitación a la memoria agradecida de todos aquellos que no tuvieron miedo y supieron apostar por Jesucristo y su Reino; y ustedes hoy son parte de su heredad ”

Los que mantuvieron viva la llama de la fe en estas tierras

El pensamiento del Santo Padre se dirigió a los lazaristas, a los jesuitas, a las hermanas de San José de Cluny, a los hermanos de las escuelas cristianas, a los misioneros de La Salette y a todos los demás pioneros, obispos, sacerdotes y consagrados. Naturalmente, sin olvidar a los tantos laicos que, en los momentos difíciles de persecución, cuando muchos misioneros y consagrados tuvieron que partir, fueron quienes mantuvieron viva la llama de la fe en estas tierras”. De ahí que el Pontífice haya puesto de manifiesto que esto “nos invita a recordar nuestro bautismo, como el primer y gran sacramento por el que fuimos sellados como hijos de Dios”.

El desafío de ser una Iglesia “en salida”

El Papa Bergoglio destacó además que los discípulos, como ellos hoy, aceptaron el desafío de ser una Iglesia “en salida”, y traen las alforjas llenas para compartir todo lo que han visto y oído. Por esta razón no dudó en afirmar:

“ Ustedes se han atrevido a salir, y aceptaron el desafío de llevar la luz del Evangelio a los distintos rincones de esta isla ”

Estar al lado de su pueblo y con su pueblo

El Santo Padre afirmó que conoce las situaciones difíciles que viven muchos de ellos donde faltan los servicios esenciales – agua, electricidad, carretera y  medios de comunicación – o la falta de recursos económicos para llevar adelante la vida y la actividad pastoral. Y que muchos de ellos sienten también sobre sus hombros, por no decir sobre su salud, el peso del trabajo apostólico. Y al destacar que ellos han elegido permanecer y estar al lado de su pueblo y con su pueblo, el Obispo de Roma les dio las gracias por esto.

“ Muchas gracias por su testimonio y por querer quedarse ahí y no hacer de la vocación un ‘pasaje a una mejor vida’ ”

El Papa también les dijo a los consagrados y seminaristas que quedarse ahí con esa conciencia los compromete con todo su ser en la gran misión de la evangelización. Sí, porque como afirmó:

“ La persona consagrada es capaz de reconocer y señalar la presencia de Dios allí donde se encuentre. Es más, quiere vivir en su presencia, que aprendió a saborear, gustar y compartir ”

No a los “habriaqueísmos”

Asimismo Francisco destacó que en la alabanza encuentran su pertenencia e identidad más hermosa que libra al discípulo de los “habriaqueísmos” y le devuelve el gusto por la misión y por estar con su pueblo; le ayuda a ajustar los “criterios” con los que se mide a sí mismo, mide a los demás y a toda la actividad misionera, para que no tengan algunas veces poco sabor a Evangelio.

“ Ser profesionales de lo sagrado ”

Caer en la tentación…

Por otra parte el Obispo de  Roma consideró que muchas veces es posible “caer en la tentación” de pasar horas hablando de los “éxitos” o “fracasos”, de la “utilidad” de las acciones, o la “influencia” que puedan tener. Lo que suele conducir a soñar con planes apostólicos “expansionistas, meticulosos y bien dibujados, pero propios de generales derrotados” que terminan por negar su historia, al igual que la de su pueblo, “que es gloriosa por ser historia de sacrificios, de esperanza, de lucha cotidiana, de vida deshilachada en el servicio y la constancia en el trabajo que cansa”.

“ Respondamos con la disponibilidad y la pobreza evangélica que nos lleva a dar la vida por la misión ”

Vencer el mal en el nombre de Jesús

De ahí que resulte “interesante constatar que Jesús resume la actuación de los suyos hablando de la victoria sobre el poder de Satanás”, un poder que “desde nosotros solos jamás podremos vencer, pero sí en el nombre de Jesús”. Por esta razón cada uno de ellos “puede dar testimonio de esas batallas, y también de algunas derrotas”. Y cuando mencionan “la infinidad de campos” donde realizan su acción evangelizadora, están “librando esa lucha en nombre de Jesús”.

Y lo hacen cuando enseñan a alabar al Padre de los cielos y cuando enseñan con sencillez el Evangelio y el catecismo. Cuando visitan y asisten a un enfermo o brindan el consuelo de la reconciliación. Es así como “en su nombre”, vencen al dar de comer a un niño, al salvar a una madre de la desesperación de estar sola para todo o al procurarle un trabajo a un padre de familia. “Es un combate ganador el que se lucha contra la ignorancia brindando educación”; también es llevar la presencia de Dios cuando alguien ayuda a que se respete, en su orden y perfección propios, todas las criaturas “evitando su uso o explotación”; y también los signos de su victoria cuando plantan un árbol, o hacen llegar el agua potable a una familia.

“ ¡Qué signo del mal derrotado es cuando ustedes se dedican a que miles de personas recuperen la salud! ”

Seguir dando batallas en la oración y la alabanza

Por eso los animó a que “sigan dando estas batallas, pero siempre en la oración y en la alabanza”. Y les pidió derrotar “al mal espíritu en su propio terreno; allí donde nos invite a  aferrarnos a seguridades económicas, espacios de poder y de gloria humana”, respondiendo “con la disponibilidad y la pobreza evangélica que nos lleva a dar la vida por la misión”. A lo que añadió: “¡No nos dejemos robar la alegría misionera!”.

Hacia el final de su discurso el Santo Padre les pidió que transmitan a sus comunidades su cariño y cercanía, su oración y bendición. A la vez que les explicó que en la bendición que estaba a punto de impartirles en nombre del Señor deseaba invitarlos a que piensen en sus comunidades, en sus lugares de misión, para que el Señor siga diciendo bien a todas esas personas, allí donde se encuentren.

“ Que ustedes puedan seguir siendo signo de su presencia viva en medio nuestro. Y no se olviden de rezar y hacer rezar por mí. Gracias ”


Deja un comentario

El próximo encuentro del Papa con los presidentes de las conferencias episcopales

Padre Zollner  encuentro vaticano protección menoresEl Padre Zollner  

El Padre Zollner presenta el Encuentro sobre la Protección de Menores

El Padre Hans Zollner – miembro de la Comisión Vaticana contra la Pedofilia y presidente del Centro para la Protección de Menores en el Gregoriano – presentó a los periodistas las líneas principales de la cumbre sobre la protección de los menores en la Iglesia, querida por el Papa Francisco, que se celebrará en el Vaticano del 21 al 24 de febrero.

Maurizio Fontana – Ciudad del Vaticano

El 85% de los niños de Oriente Medio y del cinturón norteafricano son víctimas de la violencia: heridos en el cuerpo, la mente y el alma por los abusos sexuales, la guerra, el terrorismo, el reclutamiento forzado en las milicias de niños y la falta de justicia a todos los niveles.  Ochenta y cinco millones de niños y jóvenes.  Es a partir de esta figura, un verdadero golpe en el estómago y en la conciencia de todos, que el Padre Hans Zollner utilizó para presentar -en una reunión celebrada en Roma en la mañana del martes 12 de febrero con periodistas- las líneas principales de la cumbre sobre la protección de los niños en la Iglesia, que se celebrará en el Vaticano del 21 al 24 de febrero. «¿Quién habla de estos ochenta y cinco millones de niños? El jesuita, miembro del comité organizador de la cumbre, preguntó de manera provocativa. Nadie. Pero el conocimiento, la conciencia es el primer paso decisivo para afrontar este drama.

Y éste será uno de los pasos fundamentales que se darán en el encuentro que el Papa Francisco desea vivamente. Será, precisó el jesuita, un encuentro de pastores que por primera vez pondrá sobre la mesa la cuestión de la protección de los menores en la Iglesia de manera sistémica, teniendo en cuenta las estructuras y procedimientos a nivel mundial.

El encuentro, anticipó Zollner, contará con la participación constante del Pontífice y se estructurará en torno a tres puntos clave. El primer día se discutirán las responsabilidades pastorales y jurídicas del obispo. Por lo tanto, será el turno de establecer -el segundo día de trabajo- a quien el obispo o superior de una orden debe informar sobre su trabajo en la materia y luego identificar qué estructuras, procedimientos y métodos son concretamente aplicables. Este es un aspecto que implica directamente la sinodalidad, uno de los elementos clave de la cumbre de finales de febrero. Por último, la tercera jornada estará dedicada al tema de la transparencia. Transparencia interna, por supuesto, pero también hacia las autoridades estatales y hacia todo el pueblo de Dios.

Es fundamental -añadió el presidente del Centro para la Protección de Menores de la Pontificia Universidad Gregoriana- entender que las normas no son suficientes: la claridad de los procedimientos no resolverá mágicamente el problema. La verdadera cuestión es cómo llegar a un cambio de actitud. La ayuda puede venir de escuchar directamente a las víctimas del abuso. Una escucha que todos los obispos han sido invitados a hacer directamente en sus países y que también será posible durante la cumbre gracias a algunos testimonios ya previstos. «Aquellos que realmente escuchan el grito de ayuda que viene de una de estas víctimas – subrayó el Padre Zollner – el llanto, las heridas de la psique, del cuerpo, del corazón y de la fe, no pueden permanecer como antes». Esta será una de las principales herramientas para sensibilizar a los representantes de toda la Iglesia. Es, precisó el jesuita, una etapa de un largo camino por recorrer, pero ciertamente «tenemos la oportunidad de hacer algo importante»


Deja un comentario

La pederastia en la iglesia Un amplio análisis

Pederastia, la voz de las víctimas puede salvar a la Iglesia

En vista del encuentro de febrero en el Vaticano, los obispos tendrán que «escuchar directamente el sufrimiento» de quienes sufrieron abusos. El precedente del cardenal Schönborn, los retrasos de la Iglesia italiana y el caso chileno

Pederastia, la voz de las víctimas puede salvar a la Iglesia

CONDIVIDI
SCOPRI TOP NEWS
Pubblicato il 11/02/2019
Ultima modifica il 11/02/2019 alle ore 14:50
FRANCESCO PELOSO
CIUDAD DEL VATICANO

Desde que en los últimos 20 años las víctimas de abusos sexuales cometidos por sacerdotes han superado la vergüenza, el miedo a los estigmas sociales, el temor de no ser creídas, y han comenzado a hablar, el escándalo de la pederastia explotó bruscamente en la Iglesia. Su voz, mucho más que los procedimientos judiciales, que los procesos canónicos, que la burocratización inevitable y necesaria del delito para obtener justicia, ha roto la lógica del encubrimiento. Del 21 al 24 de febrero se llevará a cabo en el Vaticano un encuentro dedicado a la protección de los menores en la Iglesia, en el que participarán todos los presidentes de las Conferencias Episcopales del mundo. En un mensaje dirigido a todos ellos, el comité organizador del encuentro en el Vaticano ha dado una indicación precisa: «encontrarse con las víctimas supervivientes a los abusos sexuales del clero, en sus respectivos países, antes del encuentro de Roma, para conocer directamente el sufrimiento que han experimentado».

“Un lamento que toca el alma”

El testimonio directo, efectivamente, tiene un valor no solamente penitencial. Es también el instrumento que puede romper «el abuso de poder» (según las palabras del Papa) que se crea y amplifica detrás del mecanismo de los abusos para defender a la institución y a sus miembros, sin importar la justicia ni la piedad. En la carta del Papa, de agosto de 2018, dedicada al escándalo y dirigida a todo el pueblo de Dios, Francisco afirmó al respecto: «El dolor de estas víctimas es un lamento que sube al cielo, que toca el alma y que durante mucho tiempo ha sido ignorado, oculto o silenciado. Pero su grito ha sido más fuerte que todas las medidas que han tratado de hacerlo callar o, incluso, han pretendido resolverlo con decisiones que han aumentado la gravedad, cayendo en la complicidad. Grito que el Señor ha escuchado mostrándonos, una vez más, de qué parte quiere estar».

El camino de la Iglesia austriaca

Recientemente algunas Conferencias Episcopales (empezando por las de Estados Unidos y Francia), afrontando las consecuencias del escándalo, han escuchado las voces de las víctimas; un paso no formal que indica un camino, siempre y cuando se tome verdaderamente en serio. Y, por otra parte, no se puede olvidar que algunas Iglesias locales, algunos altos prelados, sean precursores en este sentido. Entre ellos está, sin dudas, el cardenal Christoph Schönborn, arzobispo de Viena y líder de la Iglesia austriaca. Desde 2003, la Iglesia en Austria se ha comprometido, a la luz de los casos de avisos, en el combate de la plaga de la pederastia mediante un proceso nada fácil hacia la transparencia y el reconocimiento público del escándalo.

Después, en 2010, el cardenal Schönborn organizó, en la catedral de San Esteban de Viena, una celebración penitencial con varias asociaciones de víctimas de abusos. Según las noticias que publicó “L’Osservatore Romano” en ese entonces «una decena de testimonios, mujeres y hombres, víctimas directas de los abusos o representantes de ellos, hablaron denunciando y presentando ante Dios la violencia sufrida, las heridas insanables, la desilusión, pero también sus esperanzas y sus peticiones. Ante tanto dolor, observó el purpurado, cada palabra está “fuera de lugar”. Mejor el silencio, pero no el silencio cómplice, sino el silencio reflexivo y sapiente de Job, cuya fe, según la narración bíblica, es duramente puesta a prueba». Entonces, «el purpurado ha reconocido la responsabilidad de algunos sacerdotes, tanto en casos de “violencia sexual” como al haber “ocultado los hechos”. Y ha reconocido, en nombre de la Iglesia, “haber dado más importancia a la seguridad, al poder, a la apariencia”».

Los retrasos de la Cei y el reciente cambio

En este contexto, se muestra con gran retraso la Iglesia italiana que solamente en estos últimos tiempos está tratando de recuperar el tiempo perdido. La Cei ha afinado finalmente las “líneas guía” para afrontar el fenómeno coherentemente con las indicaciones de la Santa Sede, después de haber redactado en los últimos años documentos análogos que no han superado no solo el juicio de la opinión pública, sino de los dicasterios vaticanos competentes. Ahora algo comienza a moverse, aunque el borrador de las líneas guía sobre la pederastia será sometida a votación definitivamente en el mes de mayo, en ocasión de la asamblea anual general de los obispos italianos. También habrá dos encuentros en el futuro próximo: uno antes del encuentro en el Vaticano con el Consejo de la presidencia de la Cei y otro, en primavera, con el Consejo Episcopal permanente. Sin embargo, sería importante que estos encuentros no se reduzcan a “momentos” demasiado privados, en los que la institución absuelve esencialmente un papel necesario y al cual parecería obligada. En las próximas semanas quedará claro cuál es el camino que ha elegido la Conferencia Episcopal.

Por otra parte, la relación con las víctimas no siempre ha sido fácil para la Iglesia; a menudo la experiencia sufrida ha dejado profundas e indelebles heridas en las biografías de hombres y mujeres, a veces son padres de familia que han visto las vidas de sus hijos destrozadas (muchos suicidios) por haber confiado en “su” Iglesia; en otros casos, la rabia por los encubrimientos, las protecciones ofrecidas a los depredadores seriales, no deja de agitar los ánimos. Sin contar que muchas víctimas de abusos han sido obligadas a callar, sobre todo en Estados Unidos, con imponentes indemnizaciones económicas mediante las cuales, a menudo, ha quedado sofocado incluso el escándalo. En algunos casos, las desorbitadas indemnizaciones de las diócesis han obtenido el efecto contrario, pero casi siempre el conflicto judicial nace de la intención de ocultar la verdad.

El caso chileno

Lo cierto es que algunas víctimas se han vuelto “famosas” porque han dedicado sus vidas a luchar contra la pederastia clerical, a pedir justicia, y poco importa que, a veces, en sus discursos y argumentos entren las polémicas más ásperas. Por ejemplo, el caso de Juan Carlos Cruz, chileno. Su nombre se relaciona con el caso del obispo chileno Juan Barros, gran protector (además de otros sacerdotes) del poderoso exsacerdote Fernando Karadima, que abusó de él y de otros. Juan Carlos y algunos de sus compañeros nunca han dejado de pedir justicia, acusando a la cúpula de la Iglesia chilena.

Cuando Francisco fue a Chile, en enero de 2018, defendió a Barros, pero después explicó que había sido mal informado, por lo que se retractó radicalmente y se ocupó del doloroso caso de los abusos en el país andino de una manera que se convirtió en un banco de prueba para la Iglesia universal. En este camino de concientización, en el que incluso renunciaron todos los obispos chilenos, de investigaciones conducidas directamente por el Vaticano, mediante el enviado del Papa, monseñor Charles Scicluna, la voz de las víctimas tuvo un papel importante. Cruz y otras dos víctimas de Karadima fueron escuchadas en una serie de largas entrevistas por el Pontífice. Es precisamente una de las cosas lo que pedían.

En 2015, Cruz, en una carta enviada al Papa, en la que describió con detalles los abusos sufridos y los encubrimientos de Karadima, concluyó: «Sigo adelante, aunque cueste, querido Santo Padre, trato de no caer en la tristeza y en la desesperación porque espero que alguien como usted pueda hacer algo. Espero, si Dios quiere, ir a verle un día y abrazarle personalmente. Siempre rezo por usted. Por favor, ayúdenos. Quiero creer desesperadamente en usted y conservar mi fe. Todo lo que ha sucedido en los últimos años y en los últimos días indica lo contrario. Por favor, Santo Padre, no sea como todos los demás. Somos muchos los que creemos, a pesar de todo, que usted puede hacer algo».


Deja un comentario

Casos de personalidades de la Iglesia con problemas de conducta inmoral.

Paradojas del caso Capella y qué sucede con McCarrick

El diplomático vaticano fue condenado a 5 años por pedopornografía, pero algunos sacerdotes abusadores seriales nunca han pisado una prisión. La historia del cardenal estadounidense plantea dudas sobre los mecanismos de los nombramientos

Nubes sobre el Vaticano

Pubblicato il 02/07/2018
ANDREA TORNIELLI
CIUDAD DEL VATICANO

 

En estos días se sabrá si monseñor Carlo Alberto Capella, ex consejero de la nunciatura en Washington condenado en el Vaticano a cinco años de cárcel por poseer e intercambiar «enormes cantidades» de material pedopornográfico, apelará la sentencia. Circunstancia que varias fuentes vaticanas dan por muy probable. El intercambio de material pedopornográfico es uno de los delitos más oscuros y las legislaciones de muchos estados (incluido el de la Ciudad del Vaticano) han puesto en vigor normas muy severas para castigarlo. Capella no renegó la evidencia, admitió su culpa y explicó que había comenzado a buscar material pedopornográfico debido a una crisis provocada por su traslado a Washington. En su teléfono celular y en su computadora fueron hallados películas y dibujos explícitos. Soledad, frustración por no haberse sentido apreciado y por haberse encontrado solo, sin amigos. Obviamente el prelado debía tener una predisposición para ese tipo de imágenes macabras, que incluyen a niños en actos sexuales y abusos, porque, afortunadamente, la pedopornografía no representa un “remedio” difundido para las crisis de adaptación o los excesos de soledad.

 

Más allá de la conclusión del caso judicial vaticano, y del posterior proceso canónico que se celebrará en contra el ex consejero de la nunciatura, hay una paradoja: un religioso que ha desahogado sus fantasías perversas buscando imágenes en internet tendrá que pasar cinco años en la cárcel, mientras prelados que han efectivamente abusado de niños y chicos adolescentes (arruinándoles la vida) en varios casos no han pasado ni siquiera un día en una celda. Casos recientes de ilustres fundadores o de religiosos muy conocidos (como demuestra el caso chileno) lo demuestran. Es evidente que en el caso de Capella las autoridades vaticanas han querido dar un ejemplo, para hacer ver que en contra del oscuro fenómeno no se hacen descuentos a nadie. Pero la paradoja permanece.

 

El otro caso que sorprende es el del cardenal Theodore McCarrick, arzobispo emérito de Washington. Acusado de haber abusado de un adolescente hace 45 años en Nueva York, el religioso (ya jubilado desde hace años) fue suspendido de sus funciones episcopales mientras se aclara su posición.

 

Con McCarrick ya suman cuatro los purpurados creados durante el largo Pontificado de Juan Pablo II involucrados en abusos (fueron creados en total 231, en nueve Consistorios). El primero fue el arzobispo de Vienna Hans Hermann Groer: nombrado sorpresivamente como sucesor del cardenal Franz König en 1986, recibió la púrpura en 1988 y se vio obligado a dejar la diócesis en 1995 después de haber sico acusado de haber abusado de muchos algunos seminaristas menores de edad muchos años antes. El segundo fue el cardenal Keith O’Brien, arzobispo de Saint Andrews, Edimburgo Escocia), elevado a la púrpura en 2003 y que se retiró en 2013, casi al cumplir 75 años y sin participar en el Cónclave, porque se le había acusado de haber abusado reiteradamente, en los años ochenta y noventa de dos seminaristas y un sacerdote (mayores de edad). El tercero es el cardenal Geroge Pell, Prefecto de la Secretaría para la Economía, que se está defendiendo en Australia de la acusación de haber abusado de menores. Y ahora llega McCarrick.

 

Sin entrar en detalles de cada uno de los casos (en el caso de Pell, por ejemplo, ciertos testigos han dejado abiertas notables dudas), no se puede dejar de notar la existencia de un problema en el proceso para nombrar a los obispos. Lo que sorprende en el caso de McCarrick, además de la acusación de un menor de edad cuando era sacerdote en la diócesis de Nueva York, son las noticias publicadas en el comunicado del cardenal Joseph William Tobin, arzobispo de la diócesis de Newark, quien reveló que «en el pasado, ha habido acusaciones según las cuales él (McCarrick) estaba involucrado en relaciones sexuales con adultos. Esta archidiócesis y la diócesis de Metuchen han recibido tres acusaciones de mala conducta sexual con adultos; dos de estas acusaciones llevaron a ofrecer indemnizaciones». Ninguno de los tres casos sobre el pasado de McCarrick (ya obispo) involucra a menores, pero se habla de molestias a seminaristas y sacerdotes.

 

El cardenal Tobin explicó que nunca se había tenido en Newark de denuncias por abusos contra menores para el emérito de Washington. Por lo que, si no había ecos, es más que probable que no se supiera nada en Roma sobre la denuncia que ahora llevó a la suspensión del purpurado. Más difícil es comprender, en cambio, cómo fue posible que nombraran de Metuchen a Newark y, sobre todo, su traslado de Newark a Washington (con promoción cardenalicia) a un religioso que había indemnizado a mayores de edad por molestias.

 

Se deberían tener en cuenta, antes de la eventual ordenación sacerdotal, problemas relacionados con el ejercicio de la sexualidad, que revelan personalidades no maduras afectivamente. Y obviamente antes de la eventual ordenación episcopal y de la creación cardenalicia. Hay un evidente problema en el mecanismo para nombrar a los obispos, vinculado con el poder de grupos (las caídas morales no son sopesadas de la misma manera) y de lobbies. Y demuestra todos sus límites también la práctica de los nombramientos directos, que rebasan los normales recorridos (como sucedió, por ejemplo, con Groer). Se trata de casos que sería absurdo relacionar con formaciones ideales: de los cuatro purpurados citados pueden ser considerados parte de la llamada área progresista (O’Brien y McCarrick) y dos de la llamada área conservadora (Groer y Pel). El caso de McCarrick, más allá de su especificidad, representa, pues, una significativa señal de alarma que no se relaciona simplemente con el problema de la pedofilia o de los abusos contra adolescentes, sino que tiene que ver con los responsables de los procesos y de la elección de los criterios con los que se seleccionan los obispos.

 


Deja un comentario

Mexico: un inadmisible clericidio

El “clericidio” mexicano

Se anuncia la publicación de un libro que resume y analiza la cruda violencia que han sufrido los sacerdotes y religiosos en estos años

El “clericidio” mexicano

37
0
Pubblicato il 04/01/2018
Ultima modifica il 05/01/2018 alle ore 11:25
ALVER METALLI
BUENOS AIRES

El goteo continuo de sacerdotes mexicanos asesinados, amenazados o secuestrados no debería diluirse en el olvido o, para usar la palabras de los que llevan la cuenta de las víctimas, “no debe permanecer en las estadísticas. Se trata de mantener viva la memoria y hacer algo antes de que esto sea demasiado tarde”, como advierten sus autores. “¿Podremos saber la verdad? No tenemos respuestas, y, lamentablemente, ante los hechos y cifras, otros sacerdotes y agentes de pastoral están en la mira del crimen organizado, que los ve como contrapeso de su poder”.

 

Esa es la razón principal que llevó a los autores de “Tragedia y crisol del sacerdocio en México” a reunir en las páginas de un libro las biografías, las historias y el prematuro final de tantos sacerdotes asesinados en estos años en México. El libro es obra del Centro Católico Multimedial de la capital mexicana, que desde hace años lleva a cabo una atenta obra de información – y a menudo de contrainformación – sobre la violencia contra el clero en esta parte del mundo que estará muy pronto en las librerías de México y de otros países. No es un título agradable, pero en este caso lo que verdaderamente importa es el contenido.

 

Los autores hacen una análisis de las causas y de las consecuencias de estos crímenes, que desde hace ya muchos años han convertido el país azteca en el más peligroso del mundo para los que usan sotana. La tesis central resulta convincente. «Estos crímenes no son por odio a la fe, sino por la prédica religiosa que hace frente al “poder” de las bandas criminales». El hecho de que esa misma fe inspire misericordia por el pecado humano e intransigencia respecto de las prevaricaciones de los violentos contra los más débiles, no hace sino incrementar el odio contra los religiosos por lo que creen y profesan.

 

En una entrevista concedida al principal semanario de México, Proceso, el religioso paulino Omar Sotelo, director del Centro Católico Multimedial, plantea este análisis de conjunto y habla de “clericidio” con los números en la mano. Por ejemplo, durante los seis años de la presidencia de Felipe Calderón, entre 2006 y 2012, hubo 17 sacerdotes asesinados y “en la mayoría de estos casos – dice el libro – hay pocos avances en las investigaciones para descubrir quiénes fueron los asesinos y las razones que llevaron a los culpables a cometer el homicidio de estas personas”. En los seis años siguientes, entre 2012 y fines de 2017, las cosas no hicieron más que agravarse, el número de sacerdotes asesinados ascendió a 19, más un religioso. Solo en 2017 hubo cuatro sacerdotes muertos.

 

En el registro que hace el libro de próxima aparición, también se enumeran decenas, cientos de casos de extorsión contra sacerdotes, amenazas, atentados intimidatorios, y ataques contra iglesias y lugares de oración, como el que se produjo en la catedral de Ciudad de México el 15 de mayo, que provocó la muerte de un sacerdote, y el ataque claramente terrorista contra el cuartel general de la Secretaría de la Conferencia Episcopal Mexicana en las primeras horas del 25 de julio. El padre Omar Sotelo, director del Centro Católico Multimedial, considera que el trágico inventario que se podrá leer dentro de pocos días no solo producirá impresión por la cantidad de eventos reunidos en un único archivo y la progresión que refleja, sino que debería servir “para acelerar un cambio de mentalidad y de las políticas públicas que han demostrado ser un fracaso”.


Deja un comentario

Carta de un numeroso grupo de clérigos de Cataluña.

 

Carta abierta a los católicos y a todos los hombres y mujeres de buena voluntad de España

POR EL RESPETO Y LA CONCORDIA

desde Cataluña, 3 diciembre 2017

Queridos hermanos y conciudadanos:
Como cristianos y profundamente preocupados por la situación generada en Cataluña y en España a raíz de los hechos ocurridos en los últimos meses en referencia al proceso catalán, queremos compartir con vosotros unas breves consideraciones que esperamos que puedan contribuir a una mejor convivencia social en Cataluña y a unas relaciones más justas y armoniosas de Cataluña con España. Nos dirigimos a vosotros que os sentís españoles y que amáis a España; nosotros nos sentimos catalanes y amamos a Cataluña. Pero estamos seguros de que, por encima de cualquier causa, creemos todos que la máxima ley que tiene que inspirar a la sociedad es el reconocimiento de la dignidad de toda persona humana y el respeto de sus derechos fundamentales, junto con el esfuerzo de todos por acoger y tratar de entender las razones que mueven a unos y otros a pensar y actuar como lo hacen.
El contencioso entre Cataluña y España se ha planteado reiteradamente hace años y siglos. Ya en 1985 los obispos de Cataluña formularon de manera clara y respetuosa su visión sobre este tema, en un documento citado a menudo como referencia: «Como obispos de la Iglesia en Cataluña, encarnada en este pueblo, damos fe de la realidad nacional de Cataluña, modelada a lo largo de mil años de historia, y también reclamamos para ella la aplicación de la doctrina del magisterio eclesial: los derechos y los valores culturales de las minorías étnicas dentro de un Estado, de los pueblos y de las naciones o nacionalidades han de ser respetados e, incluso, promovidos por los Estados, los cuales de ninguna manera pueden, según derecho y justicia, perseguirlos, destruirlos o asimilarlos a otra cultura mayoritaria. La existencia de la nación catalana exige una adecuada estructura jurídico-política que haga viable el ejercicio de los derechos citados. La forma concreta más apta para el reconocimiento de la nacionalidad, con sus valores y prerrogativas, corresponde directamente al ordenamiento civil» «(Raíces Cristianas de Cataluña n.8)». Estas palabras nos recuerdan las del Papa S. Juan Pablo II en la ONU: «El derecho de las naciones a la existencia es ciertamente el presupuesto de los otros derechos de una nación: nadie, pues -ni un Estado, ni otra nación ni ninguna organización internacional- está nunca legitimado a considerar que una determinada nación no es digna de existir. Este derecho fundamental a la existencia no exige necesariamente una soberanía estatal, ya que son posibles diversas formas de agregación jurídica entre diferentes naciones (…). Puede haber circunstancias históricas en las cuales agregaciones diversas de una soberanía estatal pueden resultar incluso aconsejables, pero a condición de que haya un clima de auténtica libertad, garantizada por el ejercicio de la autodeterminación de los pueblos» (5-X-1995).

Sobre esta base, una parte muy significativa de la población catalana ha manifestado explícitamente que quiere ser reconocida como sujeto político soberano, con la capacidad y el derecho de decidir libremente su futuro político, sea éste continuar todos como un solo Estado o bien constituir un nuevo Estado catalán que vehicule y articule unas relaciones políticas y económicas distintas entre Cataluña y España. Muchos catalanes quieren la independencia, y también muchos catalanes se sienten españoles y quieren seguir en España. Por esto es preciso afrontar la decisión sobre el futuro de Cataluña con un exquisito espíritu de diálogo y de confianza recíproca para que sean respetados con la máxima delicadeza los derechos tanto de la mayoría como de la minoría. El objetivo de todo este proceso no es fomentar la confrontación sino precisamente lo contrario, y lamentamos profundamente todo lo que ha contribuido a alimentar la tensión y la agresividad. Creemos necesario un nuevo acuerdo que haga posible una convivencia respetuosa entre Cataluña y España, fruto de negociaciones amistosas y de pactos acordados.
Entre vosotros se encuentran personas con altas responsabilidades políticas, económicas y judiciales, o bien con la capacidad de incidir en la opinión pública. Nos dirigimos especialmente a vosotros, que podéis influir decisivamente en un cambio de rumbo que facilite el diálogo y una mejor coexistencia, lejos de toda violencia y fractura social. Nuestros obispos también aludían a esta comunicación en el documento citado: «Quisiéramos que fuesen, principalmente, nuestros hermanos católicos de los otros pueblos de España los primeros en comprender y acoger estas aspiraciones. También, en contrapartida, tendríamos que ser los católicos catalanes los primeros a abrirnos a sus problemas. El sacerdote y escritor Carles Cardó hacía notar, en 1930, la importancia que podría tener para la paz civil en España que los católicos emprendiesen la tarea nobilísima de hacer comprender a sus respectivos conciudadanos el problema de los demás».
En este sentido, consideramos injusto y desacertado el encarcelamiento de los miembros del gobierno catalán y de los dirigentes de la Asamblea Nacional Catalana (ANC) y de Òmnium Cultural, y nos entristece también el exilio forzado del President Puigdemont y el resto de sus consejeros. Cuando por lo menos dos millones de ciudadanos catalanes avalan su acción, nos parece evidente que no nos encontramos delante de una acción delictiva por parte de unos políticos sin escrúpulos que se quieren saltar las leyes, sino de un problema político serio que pide coraje y amplitud de miras a los responsables del Estado. Os pedimos, por amor de la justicia y en vista al bien común de todos los catalanes y españoles, que hagáis todo lo que esté a vuestro alcance, no solo para su liberación inmediata, sino también para la cancelación de las querellas judiciales presentadas.
Sabemos que el tema de los conflictos nacionales ha ocasionado enfrentamientos graves en nuestro mundo moderno; pero estamos convencidos de que podemos ser capaces de escucharnos y de buscar sinceramente el bien de todos, más allá de nuestros sentimientos patrióticos. Nos ilumina el Evangelio de Jesús: «Dichosos los que tienen hambre y sed de justicia, porque ellos quedarán saciados. Dichosos los que trabajan por la paz, porque ellos se llamarán los Hijos de Dios» (Mt 5, 6-9). Este reto no es fácil, pero después de un fracaso siempre es posible volver a intentar de nuevo el diálogo y la comprensión mutua. Mirémonos a la cara y escuchémonos, y no antepongamos ningún proyecto político a los grandes valores que nos tienen que caracterizar como seres humanos y, si tenemos fe, como creyentes.

Para conocer a los firmantes, o suscribir esta carta, pincha aquí:

 

Carta oberta PEL RESPECTE I LA CONCÒRDIA / Carta abierta POR EL RESPETO Y LA CONCORDIA

Fins ara han signat aquesta carta 962 persones.
Si voleu ser comptats entre els signants cliqueu aquí i doneu les vostres dades

Carta oberta als catòlics i a tots els homes i dones de bona voluntat d’Espanya
PEL RESPECTE I LA CONCÒRDIA
des de Catalunya, 3 desembre 2017

Benvolguts germans i conciutadans,
Com a cristians i profundament preocupats per la situació generada a Catalunya i a Espanya arran dels fets ocorreguts en els últims mesos en referència al procés català, volem compartir amb vosaltres unes breus consideracions que esperem que puguin contribuir a una millor convivència social a Catalunya i a unes relacions més justes i harmonioses de Catalunya amb Espanya. Ens dirigim a vosaltres que us sentiu espanyols i que estimeu Espanya; nosaltres ens sentim catalans i estimem Catalunya. Però estem segurs que, per damunt de qualsevol causa, creiem tots que la màxima llei que ha d’inspirar la societat és el reconeixement de la dignitat de tota persona humana i el respecte dels seus drets fonamentals, juntament amb l’esforç de tots per acollir i tractar d’entendre les raons que mouen uns i altres a pensar i actuar com ho fan.
El contenciós entre Catalunya i Espanya s’ha plantejat reiteradament fa anys i segles. Ja al 1985 els bisbes de Catalunya van formular de manera clara i respectuosa la seva visió sobre aquest tema, en un document citat sovint com a referència: «Com a bisbes de l’Església a Catalunya, encarnada en aquest poble, donem fe de la realitat nacional de Catalunya, afaiçonada al llarg de mil anys d’història, i també reclamem per a ella l’aplicació de la doctrina del magisteri eclesial: els drets i els valors culturals de les minories ètniques dins d’un Estat, dels pobles i de les nacions o nacionalitats, han de ser respectats i, fins i tot, promoguts pels Estats, els quals de cap manera no poden, segons dret i justícia, perseguir-los, destruir-los o assimilar-los a una altra cultura majoritària. L’existència de la nació catalana exigeix ​​una adequada estructura juridico-política que faci viable l’exercici dels drets esmentats. La forma concreta més apta per al reconeixement de la nacionalitat, amb els seus valors i prerrogatives, pertoca directament a l’ordenament civil «(Arrels Cristianes de Catalunya >n.8)». Aquestes paraules ens recorden les del Papa S. Joan Pau II a l’ONU: «El dret de les nacions a l’existència és certament el pressupòsit dels altres drets d’una nació: ningú, doncs -ni un Estat, ni una altra nació ni cap organització internacional- no està mai legitimat a considerar que una determinada nació no és digna d’existir. Aquest dret fonamental a l’existència no exigeix ​​necessàriament una sobirania estatal, ja que són possibles diverses formes d’agregació jurídica entre diferents nacions (…). Hi pot haver circumstàncies històriques en les quals agregacions diverses d’una sobirania estatal poden resultar fins i tot aconsellables, però a condició que hi hagi un clima d’autèntica llibertat, garantida per l’exercici de l’autodeterminació dels pobles» (5-X-1995).
Sobre aquesta base, una part molt significativa de la població catalana ha manifestat explícitament que vol ser reconeguda com a subjecte polític sobirà, amb la capacitat i el dret de decidir lliurement el seu futur polític, sigui aquest continuar tots com un sol Estat o bé constituir un nou Estat català que vehiculi i articuli unes relacions polítiques i econòmiques diferents entre Catalunya i Espanya. Molts catalans volen la independència, i també molts catalans se senten espanyols i volen seguir a Espanya. Per això cal afrontar la decisió sobre el futur de Catalunya amb un exquisit esperit de diàleg i de confiança recíproca perquè siguin respectats amb la màxima delicadesa els drets tant de la majoria com de la minoria. L’objectiu de tot aquest procés no és fomentar la confrontació sinó precisament el contrari, i lamentem profundament tot el que ha contribuït a alimentar la tensió i l’agressivitat. Creiem necessari un nou acord que faci possible una convivència respectuosa entre Catalunya i Espanya, fruit de negociacions amistoses i de pactes acordats.
Entre vosaltres hi ha persones amb altes responsabilitats polítiques, econòmiques i judicials, o bé amb la capacitat d’incidir en l’opinió pública. Ens dirigim especialment a vosaltres, que podeu influir decisivament en un canvi de rumb que faciliti el diàleg i una millor coexistència, lluny de tota violència i fractura social. Els nostres bisbes també al·ludien a aquesta comunicació en el document citat: «Voldríem que fossin, principalment, els nostres germans catòlics dels altres pobles d’Espanya els primers a comprendre i acollir aquestes aspiracions. També, en contrapartida, hauríem de ser els catòlics catalans els primers a obrir-nos als seus problemes. El sacerdot i escriptor Carles Cardó feia notar, el 1930, la importància que podria tenir per a la pau civil a Espanya que els catòlics emprenguessin la tasca nobilíssima de fer comprendre als seus respectius conciutadans el problema dels altres».
En aquest sentit, considerem injust i desencertat l’empresonament dels membres del govern català i dels dirigents de l’Assemblea Nacional Catalana (ANC) i d’Òmnium Cultural, i ens entristeix també l’exili forçat del President Puigdemont i la resta dels seus consellers. Quan almenys dos milions de ciutadans catalans avalen la seva acció, ens sembla evident que no ens trobem davant d’una acció delictiva per part d’uns polítics sense escrúpols que es volen saltar les lleis, sinó d’un problema polític seriós que demana coratge i amplitud de mires als responsables de l’Estat. Us demanem, per amor de la justícia i en vista al bé comú de tots els catalans i espanyols, que feu tot el que estigui al vostre abast, no només per al seu alliberament immediat, sinó també per a la cancel·lació de les querelles judicials presentades.
Sabem que el tema dels conflictes nacionals ha ocasionat enfrontaments greus en el nostre món modern; però estem convençuts que podem ser capaços d’escoltar-nos i de cercar sincerament el bé de tots, més enllà dels nostres sentiments patriòtics. Ens il·lumina l’Evangeli de Jesús: «Feliços els qui tenen fam i set de ser justos, perquè seran saciats. Feliços els qui treballen per la pau, perquè seran anomenats fills de Déu»(Mt 5, 6-9). Aquest repte no és fàcil, però després d’un fracàs sempre és possible tornar a provar de nou el diàleg i la comprensió mútua. Mirem-nos a la cara i escoltem-nos, i no anteposem cap projecte polític als grans valors que ens han de caracteritzar com a éssers humans i, si tenim fe, com a creients.


Deja un comentario

El Papa al clero en Bolonia. Importancia de la pobreza.

“Si una congregación pierde sus haberes, yo digo «Gracias, Dios»”

El Papa con el clero de Bolonia: «La vida consagrada comienza a corromperse por la falta de pobreza». No a los curas «solterones» y carreristas, «una peste». Estaba también presente Bettazzi
AP

El Papa en San Pedro, en Bolonia

114
0
Pubblicato il 01/10/2017
Ultima modifica il 01/10/2017 alle ore 17:03
DOMENICO AGASSO JR.
ENVIADO A BOLONIA

«La vida consagrada comienza a corromperse por la falta de pobreza». El Papa Francisco lo afirmó en la catedral boloñesa de San Pedro, al reunirse, en este intenso día de visita a la capital de Emilia Romaña, con los sacerdotes, religiosos, seminaristas y diáconos locales. «Si una congregación pierde sus haberes, yo digo: “Gracias, Señor”».

 

También estaba presente monseñor Bettazzi, testigo histórico del Concilio Vaticano II, obispo emérito de Ivrea, pero boloñés por vía materna; fue ordenado sacerdote en la ciudad de Bolnia y ha vuelto a vivir allí en los últimos años. Francisco y Bettazzi bromearon juntos por algunos instantes antes de que comenzara el discurso papal. Y el arzobispo de Bolonia, monseñor Matteo Maria Zuppi, lo citó en su saludo a Francisco.

 

El Papa dijo que «es un consuelo estar con los que sacan adelante el apostolado de la Iglesia; los religiosos tratan de dar testimonio de anti-mundanidad».

 

El Pontífice escuchó dos preguntas: una sobre la fraternidad entre los sacerdotes y otra sobre la «psicología de la supervivencia». El Papa tomó apuntes mientras escuchaba y después respondió libremente.

 

Francisco afirmó: «A veces, bromeando entre religiosos diocesanos y no, los religiosos dicen: “Yo soy de la orden que fundó el santo tal…”, pero –se preguntó el Papa–, ¿cuál es el centro de la espiritualidad del presbítero? La diocesanidad». Ser presbíteros es «una experiencia de pertenencia, se pertenece a un cuerpo que es la diocesanidad».

 

Esto «significa que tú», sacerdote, religioso, «no eres un libre», no hay figuras de «libre», como en el fútbol. En cambio, «eres un hombre que pertenece a un cuerpo, que es la diocesanidad, el cuerpo presbiterial». Todo ello «lo olvidamos muchas veces, convirtiéndonos en individuos, demasiado solos, con el peligro de volvernos infecundos o de que nos surja algún nerviosismo, por no decir que nos volvemos un poco neuróticos, un poco solterones».

 

Un sacerdote «solo que no tiene relación con el cuerpo presbiterial… mah…», dijo con amargura. Entonces es importante «hacer que crezca el sentido de la diocesanidad, que también tiene una dimensión de sinodalidad con el obispo». El cuerpo diocesano «tiene una fuerza especial, debe salir adelante siempre con la transparencia, la virtud de la transpaerncia, la valentía de hablar, de decir todo». Y también con «la valentía de la paciencia, de soportar a los demás. Es necesario».

Sobre la valentía de hablar claro y sobre la opuesta comodidad de no exponerse, el Papa contó una anécdota: «Me acuerdo de cuando era estudiante de Filosofía, y un viejo jesuita muy listo me decía: “Si quieres sobrevivir en la vida religiosa, piensa claro, pero habla oscuro”».

 

Francisco observó que es «triste cuando un pastor no tiene horizonte del pueblo de Dios, no sabe qué hacer»; y es «muy triste cuando las iglesias permanecen cerradas, cuando se ve un aviso en la puerta: “Abierto de tal a tal hora”, por el resto del tiempo no hay nadie, las confesiones solo a pocas horas. Pero esta no es una oficina, es el lugar al que se viene a honrar al Señor, y si el fiel encuentra la puerta cerrada, ¿qué puede hacer?». Y después se refirió a «las iglesias de las calles transitadas, que permanecen cerradas: algún párroco alguna vez pensó en abrirlas, siempre con un confesor disponible: y el confesor no acababa nunca de confesar», por toda la gente que llegaba, porque «la puerta siempre está abierta» y la luz del confesionario siempre está encendida.

 

Después, el obispo de Roma habló de «dos vicios que están por todas partes». Uno es «pensar el servicio presbiterial como una carrera eclesiástica». Francisco se refirió a los «trepadores»: esos siempre son una «peste, no presbiterio. Los “trepadores”, que siempre tienen las uñas sucias, porque siempre quieren ir para arriba. Un trepador es capaz de crear muchas discordias dentro del cuerpo presbiterial; piensa en la carrera: “Ahora me dan esta parroquia, luego me van a dar una más grande”, y si el obispo no le da una lo bastante importante, se enoja: “A mí me toca…”. ¡A ti no te toca nada!», exclamó. Después añadió: «Los trepadores hacen mucho daño, porque están en la comunidad pero solo piensan en salir adelante ellos».

 

El otro vicio: «El chismorreo: se dice “¿Ya viste?”, y así la fama del hermano sacerdote acaba manchada, se arruina. “Gracias a Dios que no soy como aquel”, esta es la música del chismorreo».

 

El carrerismo y el chismorreo son dos vicios del «clericalismo».

 

En cambio, un pastor está llamado a una «buena relación con el pueblo de Dios, frente al que debe estar para indicarle el camino»; debe estar «en medio» de él «para ayudar» sobre todo «en las obras de caridad; y detrás para ver cómo va».

 

Creer en la «“psicología de la superviviencia” –prosiguió– significa esperar la carroza fúnebre, que lleva a nuestro instituto» a la clausura. Creer en la psicología de la supervivencia conduce «al cementerio». Se trata de «pesimismo, y no es de hombres y mujeres de fe, no es actitud evangélica, sino de derrota». Y mientras «esperamos la carroza, nos las arreglamos como podemos, y tomamos dinero para estar al seguro. Esto lleva a la falta de pobreza». La psicología de la supervivencia es «buscar la seguridad en el dinero; se razona, se escucha a veces: “En nuestro instituto somos viejas y no hay vocaciones, pero tenemos bienes para asegurarnos el final”, este es el camino más adecuado para llevarnos a la muerte». La seguridad «en la vida consagrada no la da la abundancia del dinero, sino que proviene de otra parte», de Dios. Algunas congregaciones «que disminuyen mientras sus bienes crecen, con religiosos apegados al dinero como seguridad: he aquí la psicología de la supervivencia».

 

El problema no está tanto «la castidad o la obediencia, sino en la pobreza. La vida consagrada comienza a corromperse por la falta de pobreza».

 

San Ignacio de Loyola «llamaba a la pobreza madre y muro en la vida religiosa: madre que genera y muro que defiende de la mundanidad».

 

Sin esta actitud que busca la pobreza y el desinterés, no se «apuesta por la esperanza divina». El dinero «es la ruina de la vida consagrada».

 

Pero Dios es bueno, «porque cuando una congregación comienza a hacer dinero, manda a un ecónomo que destruye todo». Reveló el Papa sonriendo: «Cuando escucho que una congregación pierde sus haberes, yo digo “Gracias, Señor”».

 

El Papa exhortó a un «examen de conciencia sobre la pobreza, tanto personal como del instituto».

 

Sobre la falta de vocaciones, hay que «preguntarle al Señor: “¿Qué pasa en mi instituto? ¿Por qué falta esa fecundidad? ¿Por qué los jóvenes no sienten entusiasmo por el carisma de mi instituto? ¿Por qué ha perdido la capacidad de llamar?».

 

Según Francisco, el «corazón» del problema es «la pobreza».

 

Y concluyó animándolos a todos: «la vida consagrada es una bofetada a la mundanidad espiritual. Sigan adelante».


Deja un comentario

Nombrado el nuevo arzobispo de Milán.

Delpini: “Soy inadecuado, necesito ayuda, escucharé a todos”

Fue nombrado el nuevo arzobispo de Milán, que en su discurso habló sobre la alegría, sobre la necesidad de Dios; indicó que espera «una convivencia fraterna que no contraponga las religiones como enemigos que se desafían, sino como caminos que ayudan para volver a encontrar las raíces del humanismo»
LAPRESSE

Mario Enrico Delpini, nuevo arzobispo de Milán

Pubblicato il 07/07/2017
Ultima modifica il 07/07/2017 alle ore 19:18
ANDREA TORNIELLI
MILÁN

Un largo aplauso a las 12,01 después del anuncio del nombre del 144o arzobispo de Milán, una de las mayores y más importantes diócesis del mundo. Es el actual vicario general Mario Delpini, que cumplirá 66 años al final de este mes. Lo anunció en la capilla de la curia ambrosiana el cardenal Angelo Scola, quien se refirió a una «noticia de grande importancia para nuestra Iglesia y para toda la ciudad». A partir de hoy, el cardenal que deja el puesto se convertirá en administrador apostólico de la diócesis. Su sucesor ingresará el 24 de septiembre. Desde las primeras palabras que pronunció, Delpini reveló algo sobre sí: se dijo inadecuado, pidió la ayuda de todos, dijo querer escuchar mucho y lograr que sea posible que todos hablen con él.

 

Después del anuncio, el cardenal Scola trazó un breve perfil de su sucesor y recordó que: «se ha ocupado de cuestiones de administración e incluso de cuestiones delicadas, de cuya importancia a menudo la mayoría no se entera. Monseñor Delpini es un hombre de oración, que vive ascéticamente y en gran pobreza. Y subraya lo esencial de la fe. Conoce a los sacerdotes muy bien. Es infatigable visitando las parroquias —continuó el cardenal— y es un hombre capaz de diálogo. Ha afrontado situaciones muy diferentes, incluidas la pobreza y la exclusión». Scola después hizo público su agradecimiento al Papa: «El Santo Padre me dijo que no tenía prisa, pero yo le pedí que nombrara a mi sucesor para evitar los peligros de un estancamiento en una diócesis tan compleja y articulada. El Papa acogió esta petición mía y le estoy muy agradecido».

 

Después tomó la palabra el nuevo arzobispo Deplini: «A pesar del elogio que acaba de hacer Su Eminencia» se dijo inadecuado para la misión encomendada, pero «agradezco al Santo Padre, agradezco al cardenal Scola que por lo que sé animó y aprobó esta decisión. Pero siento antes que nada que no soy adecuado. Y se ve desde el nombre: después de nombres solemnes como Angelo, Dionigi, Giovanni Battista, Carlo Maria, Alfredo Ildefonso… ahora ustedes dirán: “Llega Mario, ¿qué tipo de nombre es? Ya se ve”… s el que me dieron mi mamá y mi papá». Y Delpini continuó indicando que no solo él se siente inadecuado: «Toda mi vida he estado aquí, no podré ser una sorpresa. Creo que los que me conocen dirán: “Sí, es un buen hombre, pero ¿arzobispo de Milán? ¡No sé si estará a la altura!”. He participado y he tomado muchas decisiones que han marcado la vida de las personas y de las instituciones. Y cuando se toman decisiones, al no tener el don de la infalibilidad, algunas habrán sido equivocadas y no habrán gustado. Me gustaría pedir que no se queden atrapados en el resentimiento, pido perdón por decisiones no lo suficientemente atentas a las personas. Pido volver a empezar con benevolencia, para mostrar una Iglesia unida, alegre, dispuesta a la confrontación y también aceptando que luego haya alguien que tenga que decidir».

 

El nuevo arzobispo también habló sobre la Iglesia ambrosiana y la ciudad: «Para la Iglesia de Milán se necesitaría un arzobispo santo, mientras yo, lo comprendo, soy un mediocre, un buen hombre pero mediocre. Se nos pide rezar por la Iglesia y el arzobispo, que demos testimonio de esa santidad de pueblo y de esa laboriosidad generosa que existen en Milán. Y si luego pienso en los desafíos que la ciudad, la metrópolis, la región tienen que afrontar, en toda la innovación, la cultura e inteligencia que hay, se necesitaría un obispo que sea un genio. Si recuerdo la biografía de mis predecesores (Scola, Tettamanzi, Martini) me quedo un poco aplastado al tomar su herencia. Porque en estos años yo he escrito algunas tonterías, historias para niños… Necesitaré consejos, confrontarme con los teólogos y académicos de Milán para interpretar el tiempo en el que vivimos y el futuro que nos espera».

 

 

 

El nuevo arzobispo de Milán también respondió a tres preguntas de los periodistas que estaban presentes durante el anuncio del nombramiento. La primera fue: «¿Qué don le pide al Espíritu Santo? Y, ¿se mudará a este palacio?». «Pediría para esta diócesis y para la sociedad civil —respondió Delpini— el don de la alegría. Me parece que es una de las resonancias más normales del Evangelio: me parece que el Papa ha insistido justamente en ese mensaje que considera central. Con el Evangelio viene la alegría, “Evangelii gaudium”, porque nosotros los milaneses somos buenos, eficientes, pero a veces hay nerviosismo, impaciencia, quejas. Le pido al Espíritu Santo el don de la alegría. En cuanto al palacio, por ahora todavía vive en él el cardenal, y yo no tengo intención hacer mudanzas. Luego lo pensaré, porque el elogio que ha entretejido Scola incluía también la expresión de que yo vivo en extrema pobreza. Pero no vivo bajo un puente, por lo que no tengo urgencia para entrar al palacio».

 

La segunda pregunta fue: «¿Qué le gustaría decirle a los fieles milaneses?». «Papa Francisco, eligiendo al vicario general de la diócesis, quiere aconsejar una continuidad con los predecesores y con el cardenal Scola. Yo creo que tendremos que seguir por el mismo camino que han recorrido los obispos que han servido a esta Iglesia. No tengo ningún proyecto pastoral. Algo sí: que todos puedan hablar conmigo, que todos puedan tener voz… Tendré que ser yo quien les escuche, a los que estén de acuerdo y a los que no lo estén, para no tomar decisiones precipitadas. Y luego aprenderemos el oficio».

 

Al final, la última pregunta fue sobre los desafíos que hay que afrontar, especialmente el de los migrantes: «Quisiera decir que yo soy un cura, por lo que el mensaje que puedo dar a la ciudad es el de acordarse de Dios, buscar a Dios, vivir la relación con Dios porque estoy convencido de que una ciudad secularizada como la nuestra, que vive en la laicidad, sin la referencia de Dios, no tiene esperanza. Me parece que las primeras palabras que el Papa dijo en las Casas Blancas fueron: “Yo vengo como un sacerdote”. Vengo a hablarles de Dios y del Evangelio de Jesús. El primer mensaje que me gustaría dar es este y lo siento como irrenunciable, como siervo del Señor y ministro de la Iglesia. Quisiera que todos tuvieran una esperanza de vida eterna, y la certidumbre de que Dios nos ama y nos quiere felices. Y sobre esto habría que enfocar una convivencia fraterna que no contraponga las religiones como enemigos que se desafían, sino como caminos que ayudan a volver a encontrar las raíces del humanismo. Ninguno de nosotros viene al mundo para morir. Nosotros, para vivir, necesitamos a Dios».


Deja un comentario

El Papa a los nuevos arzobispos en la fiesta de S. Pedro.

El Papa: pruebas y humillaciones no se deben buscar sino aceptar

En la Misa por la Solemnidad de los Santos Pedro y Pablo con los nuevos arzobispos metropolitanos recuerda a los cristianos perseguidos en el mundo en un clima de “silencio cómplice”
AFP

La Misa del Pontífice en la Plaza de San Pedro con los nuevos arzobispos metropolitanos

44
0
Pubblicato il 29/06/2017
IACOPO SCARAMUZZI
CIUDAD DEL VATICANO

Por amor a Jesús, San Pablo “ha vivido las pruebas, humillaciones y sufrimientos que no se deben nunca buscar, sino aceptarse”. Lo ha dicho el Papa durante la homilía que ha pronunciado en la Plaza de San Pedro con motivo de la Solemnidad de los Santos Pedro y Pablo con los arzobispos metropolitanos que nombró este año y los cardenales presentes en Roma con motivo del consistorio que presidió ayer. “Preguntémonos si somos cristianos de salón de esos que comentan cómo van las cosas en la Iglesia y en el mundo, o si somos apóstoles en camino”, ha dicho Francisco, que ha recordado a los cristianos que hoy en el mundo son “muchos cristianos son marginados, calumniados, discriminados, víctimas de una violencia incluso mortal”, a veces en un clima de silencio “cómplice”.

 

Ausente en la Plaza de San Pedro el cardenal George Pell, prefecto de la Secretaría Económica, imputado en Australia por abusos sexuales y en “excedencia” de su función vaticana, como él mismo ha anunciado esta mañana a la prensa.

 

Francisco ha centrado su homilía entorno a tres conceptos, confesión, persecución, oración.

 

La confesión es la de Pedro en el Evangelio, cuando Jesús plantea a los discípulos “la pregunta decisiva”, es decir, “pero vosotros, ¿quién decís que soy yo?”. Responde solo Pedro: “Tu eres el Cristo, el Hijo de Dios vivo”. “Esta pregunta vital Jesús la dirige a nosotros hoy, a todos nosotros, en particular a nosotros los pastores, hoy él nos mira a los ojos y pregunta: ’¿Quién soy yo para ti?’. Como diciendo: “Soy todavía yo el señor de tu vida, la dirección de tu corazón, la razón de tu esperanza, la confianza inquebrantable?’”. Preguntémonos, ha continuado el Papa, “si somos cristianos de salón de esos que comentan cómo van las cosas en la Iglesia y en el mundo, o si somos apóstoles en camino que confiesan a Jesús con la vida porque lo llevan en el corazón. Quien confiesa a Jesús sabe que no ha de dar sólo opiniones, sino la vida; sabe que no puede creer con tibieza, sino que está llamado a «arder» por amor; sabe que en la vida no puede conformarse con «vivir al día» o acomodarse en el bienestar, sino que tiene que correr el riesgo de ir mar adentro, renovando cada día el don de sí mismo. Quien confiesa a Jesús sabe que no ha de dar sólo opiniones, sino la vida; sabe que no puede creer con tibieza, sino que está llamado a «arder» por amor; sabe que en la vida no puede conformarse con «vivir al día» o acomodarse en el bienestar, sino que tiene que correr el riesgo de ir mar adentro, renovando cada día el don de sí mismo. Quien confiesa a Jesús se comporta como Pedro y Pablo: lo sigue hasta el final; no hasta un cierto punto sino hasta el final, y lo sigue en su camino, no en nuestros caminos. Su camino es el camino de la vida nueva, de la alegría y de la resurrección, el camino que pasa también por la cruz y la persecución».

 

Esta es la segunda palabra clave para el Papa: “También hoy –ha asegurado– en varias partes del mundo, a veces en un clima de silencio —un silencio con frecuencia cómplice—, muchos cristianos son marginados, calumniados, discriminados, víctimas de una violencia incluso mortal, a menudo sin que los que podrían hacer que se respetaran sus sacrosantos derechos hagan nada para impedirlo”.

 

Citando a San Pablo, el Papa ha subrayado que “soportar el mal no es sólo tener paciencia e ir adelante con resignación; soportar es imitar a Jesús: es llevar el peso, llevarlo sobre los hombros por él y no por los demás”. Así, “con Pablo –ha dicho Bergoglio– podemos decir que “somos atribulados pero no estamos aplastados; perplejos, pero no desesperados; perseguidos, pero no abandonados”. Perdurar es saber cómo ganar con Jesús a la manera de Jesús, no a la manera del mundo”.

 

El apóstol de la gente “ha vivido corriendo, es decir, sin ahorrarse nada, consumándose. Una cosa dice haber conservado: no la salud, sino la fe, es decir la confesión de Cristo. Por amor a Jesús experimentó las pruebas, las humillaciones y los sufrimientos, que no se deben nunca buscar, sino aceptarse. Y así, en el misterio del sufrimiento ofrecido por amor, en este misterio que muchos hermanos perseguidos, pobres y enfermos encarnan también hoy, brilla el poder salvador de la cruz de Jesús”.

 

La tercera palabra elegida por el Papa es la oración: “Que los Santos Apóstoles nos consigan un corazón como ellos, fatigado y pacificado por la oración: fatigado porque pide, llama e intercede, lleno de tantas personas y situaciones; sin embargo al mismo tiempo pacificado, porque el Espíritu trae consuelo y fortaleza cuando oramos. Qué urgente es que en la Iglesia haya maestros de oración, pero que sean ante todo hombres y mujeres de oración, que viven la oración”. Bergoglio ha concluido su homilía saludando a la delegación del patriarcado ecuménico presente en la Plaza de San Pedro, “y el querido hermano Bartolomeo, que la ha enviado aquí en señal de comunión apostólica”.

 

Durante la Misa el Papa ha bendecido los palios, símbolo de la unión con la Sede de Pedro, destinados a los arzobispos metropolitanos que ha nombrado a lo largo del agua. Dios “estará cerca también de vosotros, queridos hermanos arzobispos que, recibiendo el palio, estaréis confirmados a vivir para el rebaño, imitando el buen pastor, que os sostiene cargando con vosotros sobre sus hombros”, ha dicho el Papa. Son 36 los arzobispos metropolitanos a los cuales el Papa ha entregado el palio. Provienen de República Dominicana, Canadá, Chad, Francia, Filipinas, Estados Unidos, Polonia, Camerún, Venezuela, India, Mexico, República Democrática del Congo, Brasil, Albania, Cuba, Sudán, Polinesia francesa, Argelia, Bangladesh, Malasia, Indonesia, Mozambique, Kenya, Chile, Argentina. El primero es el cardenal Joseph Tobin, arzobispo estadounidense de Newark, y el único italiano arzobispo de Messina, Giovanni Accolla.