Loiola XXI

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Un Cardenal en el más importante País islámico

Un cardinale nel paese dell’islam asiatico

In Indonesia l’arcivescovo di Giacarta Suharyo, è tenace promotore del pluralismo e della convivenza religiosa, nel segno della saggezza evangelica

Cardinali

CITTÀ DEL VATICANO. Una porpora nel paese islamico più popoloso al mondo. Un cardinale in un terra, l’Indonesia, che rappresenta un paese-chiave per gli oltre 600 milioni di musulmani che vivono «a Oriente del Profeta», ovvero le comunità islamiche non arabe, presenti nel continente asiatico dal Pakistan fino al sud-est. Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, 69enne arcivescovo di Giacarta, insignito della berretta rossa nell’ultimo gruppo di 13 cardinali annunciato da papa Francesco, è ben cosciente della responsabilità che lo aspetta e che la nomina mette in luce.
L’Indonesia è il paese dell’Islam Nusantara, ovvero quella peculiare versione dell’islam che si vive nell’arcipelago indonesiano, laddove i valori religiosi si sono fusi con la cultura e la tradizione locale. Ne è derivata una forma e una pratica religiosa in cui l’islam è caratterizzato dalla cultura dell’incontro, del dialogo e della pace, dal costruire relazioni amichevoli con culture e religioni diverse. In tal contesto Suharyo è un leader che, con la sua mitezza, i suo toni sempre pacati, la sua umiltà, rappresenta un tenace promotore del pluralismo e dell’armonia interreligiosa, proprio in sintonia con il volto originario della nazione.
Su questi aspetti, e in quest’opera, Suharyo esercita nel paese una leadership carismatica, che lo vede a fianco dell’attuale presidente Joko Widodo, ma anche accanto ai leader delle maggiori organizzazioni musulmane, Muhammadiyah e Nahdlatul Ulama. Con loro Suharyo ha preso apertamente posizione contro ogni forma di radicalismo e di estremismo islamico, che ha fatto capolino nell’arcipelago negli ultimi anni, foraggiato anche dallo Stato Islamico (Isis). Il fine dell’arcivescovo, delle istituzioni politiche, dei leader musulmani è risvegliare tra i cittadini indonesiani un senso di nazionalismo e di impegno nei confronti dei valori della Pancasila, la «carta dei cinque principi» (fede nell’unico e solo Dio; giustizia e civiltà umana; unità dell’Indonesia; democrazia guidata dalla saggezza interiore; giustizia sociale per il popolo) che resta alla base della convivenza nazionale.

Sarà che il nuovo cardinale – una porpora che torna nell’arcipelago dopo quella del gesuita Julius Riyadi Darmaatmadja, ritiratosi per motivi d’eta nel 2010 –  è originario dell’area di Yogyakarta, città sull’isola di Giava, che ha uno statuto speciale: è, infatti, l’unica provincia indonesiana che ha come capo civile e amministrativo un sultano, Hamengkubuwono X, che guida una mini-teocrazia locale – eccezione istituzionale nell’impianto statale –  da quando suo padre, mezzo secolo fa, diede un contributo notevole alla lotta per l’indipendenza dagli olandesi e poi accettò di far parte della Repubblica indonesiana. Yogyakarta è una città che ha nel suo Dna il pluralismo religioso e la convivenza armonica. Nel contesto di quella provincia sociale è fisiologico condividere studio, lavoro, cultura, relazioni umane con persone di altra fede e cultura.
Sarà che Suharyo era un 17enne di belle speranze quando, nel 1967, ha visto la nazione sprofondare sotto la dittatura del generale Mohammad Suharto e ha vissuto da prete a da parroco, nella sua arcidiocesi di Semarang, sull’isola di Giava, il suo servizio pastorale, accogliendo la sofferenza, le sfide e le speranze di una popolazione messa alla prova negli anni di oppressione. Chiamato, poi, a guidare la sua arcidiocesi nel ministero episcopale nel 1997 da Giovanni Paolo II, Suharyo ha seguito la lotta di liberazione e la nuova stagione della democrazia indonesiana in un percorso che ha accompagnato con saggezza ed esperienza, sempre ricordando un riferimento ineludibile: la Pancasila, quel patto originario di convivenza e stabilità nella nazione che, afferma a Vatican Insider, «ha un’anima multiculturale e multireligiosa» che servirà a proteggerla dal virus dell’estremismo che attacca le cellule sane dell’islam indonesiano. Quell’anima, la comunità cattolica dell’arcipelago (circa il 3% su 250 milioni di cittadini all’85% musulmani) rimarca di averla fieramente in petto, sentendosi parte integrante della nazione.
Chiamato alla guida dell’arcidiocesi di Giacarta da Benedetto XVI dal 2010, Suharyo, ricordando la storia e l’origine di quello che definisce «il miracolo dell’’Indonesia», rileva che «i cristiani ne sono parte, fin dall’inizio, con orgoglio e gratitudine, tanto che ogni anno celebrano una speciale Eucarestia per l’indipendenza del paese».
In tale prospettiva oggi, l’Arcivescovo auspica uno sforzo comune di istituzioni politiche, leader religiosi, società civile, militari per sconfiggere ogni tentativo di avvelenare la convivenza con ideologie condite da radicalismo religioso e violenza. Per questo ha trovato una speciale sintonia con il presidente indonesiano Joko Widodo, originario della sua stesa provincia, in quel distretto giavanese di Yogyakarta. E ha più volte ricordato quanto sia cruciale il contributo delle maggiori organizzazioni dell’islam indonesiano, nel condurre i milioni di seguaci su una via di moderazione, accoglienza, rispetto della dignità umana, scevra da ogni odio o fanatismo religioso.
È sintomatico che la nomina di Suharyo giunga mentre la sua arcidiocesi di Giacarta stava celebrando «L’Anno della saggezza»: un tempo, il 2019, in cui il focus è rivolto soprattutto alle questioni sociali e a come affrontarle e viverle con lo spirito evangelico, secondo il messaggio di Cristo. Negli ultimi quattro anni, ha spiegato il neo cardinale di Giacarta, la Chiesa locale ha cercato di inserire nel piano pastorale una specifica riflessione sui valori filosofici della Pancasila. Un’urgenza avvertita dalla Chiesa cattolica e da altre organizzazioni della società civile, per «contribuire al bene comune della nazione». E, in questo percorso di sensibilizzazione, è stata presentata la figura di papa Francesco come «uomo di preghiera e compassione, che mostra l’amore e l’umiltà», notando che tale atteggiamento può essere «un buon modello per ogni cittadino che vuole servire le persone nella nazione».


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Marruecos: el Papa en un instituto de formación de imanes

Caluroso recibimiento del Papa en el Instituto de los imanes

La tarde del 30 de marzo, en el marco de su viaje apostólico a Marruecos, el Papa Francisco participó de un momento histórico: se convirtió en el primer Pontífice en visitar el Instituto Mohammed VI de los imanes, predicadores y predicadoras de esta nación.

Ciudad del Vaticano

Un largo aplauso con la audiencia de pie dio la bienvenida al Papa Francisco en su entrada al Instituto Rey Mohammed VI, que está dedicado a la formación de imanes, predicadores y predicadoras, fuertemente deseado por el propio soberano e inaugurado el 27 de marzo de 2015.

El Pontífice llegó en torno a las cinco de la tarde después de haber pronunciado su primer discurso oficial y tras haber realizado la visita de cortesía al Palacio Real en donde firmó el llamamiento por el respeto a la ciudad santa de Jerusalén.

A través de la proyección de un video, los organizadores narraron la historia y la organización del Instituto destacando sus objetivos de orientación religiosa, así como los programas seguidos por los alumnos. Y todo ello acompañado de música y canciones tradicionales.

El Instituto también incluye a estudiantes extranjeros de Asia -con peticiones de Tailandia-, Europa y sobre todo de toda África, debido a la importancia que tiene promover en este continente la religión islámica con una buena base formativa «sana y tolerante», tal como subrayó un estudiante nigeriano que compartió su testimonio con el Santo Padre, explicando la tensión que se vive en Nigeria, donde la manipulación por parte de grupos extremistas es fuerte e implica que muchos jóvenes siembren la violencia.

«Cambiar esta situación», dijo el joven, «requiere educar a la gente en las enseñanzas ortodoxas del Islam, por eso quise profundizar mis conocimientos: para ayudar a mi comunidad y transmitirle que la religión es para la paz y el bien».

Amenazas a la autenticidad de la religión

Por tanto, en las bases de este Instituto hay un Islam tolerante que mira a la modernidad en contraste con las tendencias radicales y el fundamentalismo que amenazan la autenticidad de la religión. También promueve el interés por el conocimiento y la comparación con las otras dos religiones monoteístas sobre textos específicos dedicados a particularidades y aspectos comunes.

El video proyectado para el Papa hizo hincapié en la gran presencia de mujeres jóvenes, que forman parte de las mezquitas y de las implicaciones que la educación de los estudiantes tiene en sus países de origen, tal y como manifestó otro estudiante de origen francés en su testimonio: «A mi regreso -dijo-, cuento con poner al servicio de mi país y de sus habitantes todas las diversas competencias que habré adquirido en el Instituto; espero ponerlas en práctica y transmitirles este conocimiento y, sobre todo, el espíritu de paz, amor, fraternidad y tolerancia».


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Cómo será la visita del Papa a Marruecos. Programa. Datos estadísticos.

In this 2016 file photo, a super moon rises above the roof of the Mohammed V mausoleum in Rabat, Morocco. Pope Francis is scheduled to visit the North African nation in March 2019. (CNS photo/Abdelhak Senna, EPA)

On eve of visit, Pope Francis tells Moroccans: ‘I come as a pilgrim of peace and fraternity, in a world that greatly needs it.’

Continuing to write a new page in Christian-Muslim relations, Pope Francis will visit the Kingdom of Morocco this weekend, March 30 and 31. He goes to promote interreligious dialogue, to foster peace and fraternity between Christians and Muslims, and to provide encouragement to the tiny Christian community of this majority-Muslim country in North Africa.

“I come as a pilgrim of peace and fraternity, in a world that greatly needs it,” he said in a video message to the “dear people of Morocco” on the eve of his visit. He offered the traditional Muslim greeting, salaam alaikum, and thanked God “for granting me this opportunity” and King Mohammed VI of Morocco “for his kind invitation.”

Then, in words that echoed the groundbreaking document that he signed last month in Abu Dhabi with Ahmad el-Tayeb, the grand imam of Egypt’s al-Azhar mosque and university, the pope told them:

As Christians and Muslims, we believe in God the Creator and Merciful One, who has created men and women and placed them on the earth so that they might live together as brothers and sisters, respecting each other’s diversity and helping each other in their need. He has entrusted the earth—our common home—to them, to care for it responsibly and to preserve it for future generations. It will be a joy for me to share these firm convictions with you directly at our meeting in Rabat.

Moreover, he told them, “this journey also offers me the invaluable occasion to visit the Christian community in Morocco and to encourage its progress.”

“I come as a pilgrim of peace and fraternity, in a world that greatly needs it,” the pope said in a video message to the “dear people of Morocco.”

The pope also confirmed that he will meet with migrants, “who represent an appeal to build together a more just and fraternal world.”

He concluded his brief message, broadcast on national television in Morocco in both Arabic and French, with these words: “Dear Moroccan friends, I already express my heartfelt thanks for your welcome, and above all for your prayers. And I assure you of my own prayers for you and for your dear country.”

The visit to Morocco is his second in two months to an Islamic country where there are almost no native-born Christians today, even though Christianity first came to this land between the second and third centuries. Today, almost all the Christians living here are migrants from other countries, mainly from Europe and other parts of Africa.

Pope Francis comes at the invitation of King Mohammed VI, “the commander of the faithful” in this land, and will be welcomed by the kingdom’s two Catholic bishops, both of whom were born in Spain.

A mere 23,000 Catholics of many nationalities live in this country of 35 million people, about one-tenth the number of faithful who were in the country when Morocco gained its independence from France in 1956. They are served by 46 priests and 178 women religious.

“We are a truly ‘Catholic’ people…who seek to live ‘unity in diversity,’” the archbishop of Rabat, Cristóbal López Romero, a Salesian priest who worked for two decades in Paraguay before coming here, told the Italian missionary magazine Mondo e Missione on the eve of the visit. Maintaining unity is no easy task, he said, “because every year some 25 percent of the Christians leave and more arrive.”

The visit has an important dimension of interreligious dialogue and brotherhood between the different faiths in this land where the Constitution guarantees to everyone the freedom to practice one’s faith. At the same time, however, conversion from Islam to Christianity is forbidden. It is a criminal offense to proselytize or convert a Moroccan, punishable by a prison sentence of between six months and three years. Alluding to this, Archbishop López told the Spanish Catholic radio station COPE that the church is not seeking “rights for Christians in Morocco,” but “we would be happy if all the Moroccan people could [enjoy] all the freedoms, both of religion and conscience.”

The visit has an important dimension of interreligious dialogue and brotherhood between the different faiths in this land where the Constitution guarantees to everyone the freedom to practice one’s faith.

In early March, Archbishop López and the archbishop of Tangier, Santiago Agrelo Martínez, O.F.M., also Spanish-born, expressed the hope that the pope’s visit would help highlight the situation of migrants in this land, which has become a main transit point for many migrants trying to reach Europe. Since the beginning of this year, some 47,000 of them have traveled by sea to Spain, mostly from the port of Tangier, but at least 564 have died on the way, according to the International Organization of Migration.

Francis is the second pope to come to Morocco. St. John Paul II visited in 1985 at the invitation of King Mohammed V. The king saw him as “a moral voice in the world,” Cardinal Francis Arinze, who accompanied the pope, recalled in an interview after that visit. It was the Polish pope’s first visit to a majority-Muslim country. He stopped over for six hours in Morocco at the end of a visit to several other African countries and was given a warm welcome on the streets of Casablanca, with banners that said, “Welcome Holy Father to the land of Islam!” At the king’s invitation, John Paul II spoke for 45 minutes to 80,000 young Muslims, all dressed in white, at the stadium in Casablanca. It was a landmark speech that emphasized the highest ideals of Christianity and Islam. In 1997, Morocco and the Holy See established diplomatic relations.

The Jesuit pope has already visited eight majority-Muslim countries. He will spend most of two days in Morocco and will reside at the Holy See’s embassy in the port city of Rabat, the country’s capital.

He comes as “a servant of hope,” as the motto for his visit makes clear. He comes on the 800th anniversary of St. Francis of Assisi’s meeting with Sultan al-Malik al Kāmil of Egypt and also the 800th anniversary of the presence of Franciscans in this land, and will no doubt refer to this milestone in his talks.

Pope Francis will arrive at the Rabat airport of Rabat at two o’clock on Saturday afternoon and will be welcomed by the king, who traces his ancestry to the Prophet Mohammed.

The rest of the day is essentially a state visit. It involves a visit to the royal palace, where Francis will be given an official welcome as head of the Vatican City State; later in the day, the pope will have a private meeting with King Mohammed VI. In a letter to Francis on the sixth anniversary of his election, the king not only wished him “good health, happiness and greater success in his noble mission to spread human values” but also expressed his determination to continue working with the pope to uphold “noble religious and spiritual values shared by humanity, values that promote peace, tolerance and coexistence and reject all forms of ignorance, hate and extremism.”

Afterward, the pope will ride to the Esplanade of the Hassan II Mosque and address the Moroccan people in a ceremony that will be aired live on national television. He will deliver it in Italian, but with simultaneous translation in Arabic and French.

From there, Francis will visit the Mohammed V Mausoleum and the Mohammed VI Institute for imams and preachers, which was inaugurated in 2015 and plays a role in the formation of imams from Arabic, European and African countries (especially Tunisia, Mali, Ivory Coast and Guinea). There, accompanied by the king, he will greet the students of the institute in the presence of the minister of Islamic Affairs. Neither he nor the king are scheduled to speak, but they will listen to testimonies from two students—one African, the other European—and to religious chants in the Jewish, Muslim and Christian traditions.

He will conclude his first day in Morocco by visiting the diocesan Caritas headquarters, where he will greet migrants from many countries.

He will devote his second day in Morocco to the tiny Christian community. He begins the day by visiting a rural social service center at Tamara, on the outskirts of the city, which was first managed by the Jesuits but is today run by the Sisters of Charity of St. Vincent de Paul.

From there he will go to St. Peter’s Cathedral in Rabat, where he will address priests, women and men religious and representatives of the other Christian creeds. Afterward, he will have lunch with the bishops of Morocco, and, before returning to Rome, will celebrate Mass for around 10,000 migrants in the Prince Moulay Abdellah Sports Complex. It will be the largest Mass ever celebrated in this country.


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Comienza el séptimo año de pontificado para el Papa Francisco. Reflexión de Vatican Insider

El misterio de Pedro

Comienza el séptimo año del Pontificado, mientras el Papa Francisco se convierte en blanco de las acusaciones de enemigos y “ex hinchas” y abraza plenamente el misterio vinculado con su ministerio: la tarea del sucesor del pescador crucificado de cabeza en la zona de la colina Vaticana

El Papa Francisco rezando en la tumba de Pedro

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Pubblicato il 13/03/2019
Ultima modifica il 14/03/2019 alle ore 00:42
GIANNI VALENTE
ROMA

El séptimo año del Pontificado del Papa Francisco comienza con el Obispo de Roma en el retiro cuaresmal de oración y penitencia, mientras el cardenal George Pell (por él elegido como estrecho colaborador en la obra de reforma de la Curia) es expuesto a la masa global con la transmisión en mundovisión de la condena a la cárcel por abusos sexuales. No se requiere demasiada fantasía para delinear el íncipit de un balance de todos oscuros y desastrosos. No hay que inventarse nada: la “narración” mediática se encuentra bien preparada para difundir el guión del “Failing Papacy”, del «papado que está por fracasar», como dicen al unísono en Estados Unidos tanto los liberales como las derechas clericales. Pero, bien visto, la trampa se había estado preparando desde hace años. La han estado organizando pedazo a pedazo, con presteza, no tanto los enemigos y los detractores del Papa reinante, sino algunos de los más desentonados “cantores” de sus hazañas. Los aedas de la “revoución bergoglista” que lo describían como el “Deus ex machina” de una “nueva” Iglesia, la llamada “Iglesia de Bergoglio”.

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Hoy la Iglesia podría parecer en determinados momentos como un boxeador noqueado. Como una Iglesia “castigada” por el mundo. Y no es la primera vez. Surgen reflejos condicionados muy humanos de auto-defensa, no sin razones, y los desahogos más dispares. Reacciones iguales y contrarias que surgen del mismo instinto apologético.

Algunos invocan contraofensivas en contra del espíritu del tiempo y nuevos enroques, aludiendo planes masónicos globales que pretenderían aniquilar la institución eclesiástica. Otros apuestan precisamente por los escándalos eclesiásticos y las sanciones seglares que la han golpeado como una ocasión para “reorganizar” a la Iglesia, para que esté a la altura de los tiempos con operaciones de ingeniería institucional (y acaso aprovechar algún Sínodo para redistribuir las cuotas de poder entre los partidos clericales).

El Papa Francisco, por su parte, no ha llamado a organizar estructuras fortificadas de defensa. Es más, no se defiende para nada. Mientras se rompe en pedazos el fetiche del “Bergoglio súper héroe”, tal circunstancia se convierte en un kairos liberador. Una ocasión propicia que la providencia le ha puesto delante para reconocer y sugerir a todos, de la manera más sugestiva y luminosa, los rasgos elementales y los factores de los que surge el misterio que hace que la Iglesia viva en la historia.

Con el estilo que le es propio, el Papa Francisco ha repetido desde el principio de su Pontificado la misma cosa: que la Iglesia no se auto-crea, no vive por fuerza propia, no se auto-plantea ni en la historia ni en el mundo como una entidad auto-suficiente, pre-constituida. Depende a cada paso del misterio de la gracia, se reconoce necesitada, en todo momento, del milagro del Espíritu de Cristo; y estos no son discursos de curas, sino las únicas realidades que pueden hacer que la Iglesia sea interesante para los hombres y las mujeres del tiempo.

También en su predicación más reciente, el Obispo de Roma ha recordado la «santa pasividad» que conviene tener frente a Jesús, porque «es Él quien hace las cosas». Ha recordado «qué sería nuestra vida sin Él, si de verdad Él cancelara para siempre su Rostro. Es la muerte, la desesperación, el infierno». Lo hizo el pasado 7 de marzo, reuniéndose con los párrocos de Roma, con palabras que han abrazado incluso el dolor por los abusos y los crímenes de los hombres de la Iglesia, que llenan los periódicos. «Es evidente», dijo en esa ocasión el Papa, «que el verdadero significado de lo que está sucediendo debe ser buscado en el espíritu del mal, en el Enemigo, que actúa con la pretensión de ser el padrón del mundo […] Sin embargo, no nos desanimemos. El Señor está purificando a su Esposa y nos está convirtiendo a todos a Sí. Está haciendo que experimentemos la prueba para que comprendamos que si Él somos polvo. Nos está salvando de la hipocresía, de la espiritualidad de las apariencias. Él está soplando su Espíritu para volver a dar belleza a su Esposa, sorprendida en flagrante adulterio».

Con esta mirada sobre las cosas del tiempo, mientras él mismo se convierte en objetivo de las acusaciones y de los insultos de enemigos y “ex hinchas”, el Papa Francisco abraza plenamente también el misterio propio de su ministerio: la tarea del sucesor de Pedro, el pescador pecador crucificado de cabeza en la zona de la colina Vaticana. Muchas veces, en la historia, las circunstancias se han encargado de evidenciar la insuficiencia, la inermidad y la impotencia de los Obispos de Roma, como cifra propia de su destino.

Siguiendo las huellas del príncipe de los Apóstoles, muchas veces sus sucesores han aprendido de sus pecados perdonados o de sus intenciones mortificadas a dejar todas las iniciativas de la acción al Señor. Tomando nota de que solo podían reconocer, seguir y servir lo que el Señor opera. «Que ninguna otra confianza nos sostenga», dijo Pablo VI al inaugurar la segunda sesión del Concilio Vaticano II, «sino la que acompaña, mediante la palabra de Él, nuestra desolada debilidad: “Et ecce Ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi” [“He aquí, yo estoy con ustedes todos los días hasta el final del mundo” (Mt 28, 20)».

Quien ejerce el ministerio petrino experimenta a menudo en la propia vida que ningún Papa puede creer ser quien “salva” a la Iglesia. Y el único criterio apropiado para declarar “un fracaso” determinada época papal sería el de verificar si en ese determinado lapso de tiempo se ha mantenido viva o se ha diluido en la vivencia eclesial la percepción de que la Iglesia siempre necesita ser curada, siempre necesita el milagro. Condición por la cual ella solamente puede tender la mano a su Señor, como una mendiga.

En la época del Papa Bergoglio, incluso sus humanísimos errores (reconocidos a menudo públicamente y por los cuales él mismo muchas veces ha pedido perdón) demuestran el misterio del Sucesor de Pedro, signo del gran misterio de la Iglesia. Este es el único balance que el pueblo de Dios está interesado y que puede reconocer y aprobar, incluso a partir de los detalles que no aparecen iluminados por los reflectores mediáticos. Como la frecuencia con la que el Papa pide a sus interlocutores que reciten juntos, en las circunstancias públicas, un simple Ave María («Nos ha dicho muchas, oh Reina de los Apóstoles, hemos perdido el gusto por los discursos. Ya no tenemos altares sino los tuyos. No sabemos nada más que una simple oración». Charles Péguy, Prières dans la Cathédrale).


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Islam: un conferencia internacional en Jerusalén?

TIERRA SANTA – Tras las tensiones en la Explanada de las Mezquitas, al Azhar convoca una “Conferencia internacional” en Jerusalén

El Cairo – La Universidad de Al Azhar, mayor centro académico y teológico del Islam sunita, ha anunciado la decisión de querer convocar, para el próximo mes de septiembre, una conferencia internacional sobre Jerusalén, para discutir “con las instituciones y órganos pertinentes” sobre el presente y el futuro de la Ciudad Santa, a partir de las últimas tensiones que se han vivido alrededor de la Explanada de las Mezquitas y de los Lugares Santos musulmanes. En un comunicado relanzado por los medios de comunicación nacionales de Egipto, al Azhar define las recientes medidas adoptadas por las autoridades israelíes como “sin ningún fundamento en los principios humanitarios o de civilización”. Ya la semana pasada, la Universidad sunita había hecho un llamamiento a la comunidad internacional para que no permaneciese indiferentes ante lo que ha definido como “acciones agresivas” puestas en marcha por las autoridades israelíes.
La nueva escalada de tensión en torno a la Explanada de las Mezquitas comenzó con un ataque armado en ese lugar el pasado 14 de julio, en el que tres terroristas suicidas – todos asesinados después – causaron la muerte de dos soldados israelíes. Lo que ha disparado todas estas reacciones ha sido la instalación de detectores de metales en las puertas de acceso a la explanada. Después de dicha disposición, se ha producido una escalada de violencia en toda Tierra Santa, con un balance de al menos seis muertos en Jerusalén y en Cisjordania. A las tensiones en torno a los Lugares santos musulmanes de Jerusalén también está vinculado el ataque a la embajada israelí en Amman, en el que han perdido la vida dos jordanes y ha resultado herido de gravedad un israelí.La última gran conferencia internacional organizada por al Azhar fue la “Conferencia Internacional de la Paz”, que culminó en la tarde del viernes 28 de abril con la intervención del Papa Francisco. .


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El Papa ha recibido en audiencia al Gran Imán de Al-Azhar

El Papa abraza al Gran Imán de Al-Azhar

2016-05-23 Radio Vaticana

(RV).- El lunes 23 de mayo, a las 12.00 en el Palacio Apostólico, el Santo Padre Francisco ha recibido en audiencia al Gran Imán de Al-Azhar, Prof. Ahmad Muhammad Al-Tayyib, acompañado por una importante Delegación. El Gran Imán fue acogido y acompañado al encuentro con el Santo Padre por el Presidente del Pontificio Consejo para el Diálogo Interreligioso, Card. Jean-Louis Tauran, y por el Secretario del mismo Dicasterio, Mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot. El coloquio, muy cordial, ha durado aproximadamente 30 minutos. El Papa y el Imán han resaltado el gran significado de este nuevo encuentro en el marco del diálogo entre la Iglesia católica y el Islam. Luego, ambos se han detenido principalmente sobre el tema del compromiso común de los representantes y de los fieles de las grandes religiones por la paz en el mundo, el rechazo de la violencia y del terrorismo, la situación de los cristianos en el contexto de los conflictos y de las tensiones en Oriente Medio y su protección. El Papa ha obsequiado al Gran Imán el Medallón del olivo de la paz y una copia de su Carta Encíclica Laudato si’. Después de la Audiencia con el Santo Padre, antes de dejar el Palacio Apostólico, el Gran Imán, con su Delegación, tuvo un breve encuentro con el Card. Tauran y con el Mons. Ayuso Guixot.

El Gran Imán dejó el Palacio Apostólico poco después de las 13.00 horas.


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Diálogo universitario católico-musulmán.

Irán; un ayatollah en la Universidad del Papa

El primer profesor invitado en el Pontificio ateneo Lateranense es el director del Instituto de Estudios chiitas de Qom: fruto del acuerdo firmado en la sacra ciudad persa
UNIVERSIDAD LATERANENSE

La Univesidad Lateranense

Dentro de poco, su turbante, su rostro de estudioso, su barba, la expresión seria y serena serán normales en las aulas y corredores de la que es por excelencia la Universidad del papa. El ayatollah Mahmoud Taghizadeh Davarí será el primer profesor invitado de la Pontificia Universidad Lateranense y se ocupará de desarrollar un proyecto de investigación para comparar la teología social chiita y católica.

El profesor Davarí es director del Instituto de Estudios Chiitas en Qom, ciudad sacra al sur de Teherán, y parece que su llegada sea inminente; su permanencia en Roma se perfila bastante larga: unos dos años, es decir el tiempo mínimo necesario para una investigación académica.

Su presencia en el cuerpo docente y en las relaciones con los estudiantes del ateneo pontificio será, sin duda, un enriquecimiento cultural: experto en estudios islámicos y sociólogo, Davarí tiene una larga experiencia como docente y como estudioso de la teología islámica social en general, con una atención especial por los aspectos culturales y sociales de las comunidades chiitas.

Iraní de nacimiento, habla a la perfección el árabe y, gracias a sus estudios especializados en Inglaterra, el inglés. Ha enseñado en la Universidad de Teherán, en las facultades de Ciencias sociales y Derecho, pero también de Filosofía y comunicación, debido a la relación entre los estudios sociales y los estudios sobre los medios de comunicación.

Ha publicado decenas de ensayos y textos, además de diferentes artículos en prestigiosas revistas académicas, ha participado en importantes congresos y conferencias internacionales. Su interés por el estudio comparado del mundo cristiano comenzó en 2003, cuando participó en un volumen colectivo, publicado en Londres, titulado «Católicos y chiitas en diálogo».

Davarí es una personalidad de relieve incluso desde el punto de vista institucional (de 2011 a 2015 fue miembro permanente del Comité de cultura y civilización del Islam, en el Consejo Supremo de la Revolución Cultural) y desde el punto de vista mediático, puesto que es un intelectual que concede entrevistas, además de haber dirigido algunas revistas científicas.

Un profesor visitante chiita por los corredores de la Lateranense es uno de los últimos frutos del acuerdo firmado en abril del año pasado por el rector Enrico Dal Covolo y Seyed  Abolhassan Navvab, canciller de la Universidad de las Religiones y Denominaciones (UED) de Qom.

El primer acto de este acuerdo fue un evento académico conjunto, que se llevó a cabo a principios del Jubileo de la Misericordia en Roma: profesores de la Lateranense y profesores de la Universidad de Qom se reunieron para compartir sus reflexiones sobre la teología de la misericordia en el cristianismo y en el islam.

EL acuerdo establece, además, un intercambio entre profesores y estudiantes de ambas universidades. Según Dal Covolo, el acuerdo representa «un paso fundamental en la vía del diálogo interreligioso a nivel académico». Y justamente bajo el signo de este cambio cultural, el ateneo pontificio abrió sus puertas a los representantes del islam chiita, durante un año jubilar que debe distinguirse por una «recíproca colaboración».

La cooperación a nivel académico forma parte del marco positivo y en el «dialogo constructivo» entre la Santa Sede e Irán, explicó el Nuncio apostólico en Irán, Leo Boccardi, que se encargó de facilitar las relaciones entre el ateneo católico y el ateneo chiita.

La confrontación científica con el pensamiento, la filosofía y la teología islámicos es considerada «un enriquecimiento común para favorecer un conocimiento recíproco, tanto a nivel de docentes y alumnos como en las publicaciones», indicó Boccardi.

El interés por la cultura y la tradición cristiana son ya notables en este ámbito: las bibliotecas de los centros de investigación y de las universidades ciistas están llenas de textos de teología católica, traducidos al farsi, empezando por colosos como las obras de santo Tomás de Aquino y San Agustín.

Gracias a un equipo de investigadores de la Universidad de las Religiones y Denominaciones de Qom, se pudo llevar a cabo un proyecto muy significativo: la traducción al farsi de todo el Catecismo de la Iglesia católica.

El proyecto, en colaboración con la nunciatura de Teherán y con la asesoría del salesiano Franco Pirisi (que trabaja en Irán desde hace más de 40 años), lleva una introducción del cardenal Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consejo para el Diálogo Interreligioso.

De los más de dos mil estudiantes del moderno campus de Qom hay varios que desean y se empeñan para estudiar la fe, la cultura y la teología católicas. Y ahora, para todos ellos, se abren las puertas de Roma y del Vaticano.