Un cardinale nel paese dell’islam asiatico
In Indonesia l’arcivescovo di Giacarta Suharyo, è tenace promotore del pluralismo e della convivenza religiosa, nel segno della saggezza evangelica
CITTÀ DEL VATICANO. Una porpora nel paese islamico più popoloso al mondo. Un cardinale in un terra, l’Indonesia, che rappresenta un paese-chiave per gli oltre 600 milioni di musulmani che vivono «a Oriente del Profeta», ovvero le comunità islamiche non arabe, presenti nel continente asiatico dal Pakistan fino al sud-est. Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, 69enne arcivescovo di Giacarta, insignito della berretta rossa nell’ultimo gruppo di 13 cardinali annunciato da papa Francesco, è ben cosciente della responsabilità che lo aspetta e che la nomina mette in luce.
L’Indonesia è il paese dell’Islam Nusantara, ovvero quella peculiare versione dell’islam che si vive nell’arcipelago indonesiano, laddove i valori religiosi si sono fusi con la cultura e la tradizione locale. Ne è derivata una forma e una pratica religiosa in cui l’islam è caratterizzato dalla cultura dell’incontro, del dialogo e della pace, dal costruire relazioni amichevoli con culture e religioni diverse. In tal contesto Suharyo è un leader che, con la sua mitezza, i suo toni sempre pacati, la sua umiltà, rappresenta un tenace promotore del pluralismo e dell’armonia interreligiosa, proprio in sintonia con il volto originario della nazione.
Su questi aspetti, e in quest’opera, Suharyo esercita nel paese una leadership carismatica, che lo vede a fianco dell’attuale presidente Joko Widodo, ma anche accanto ai leader delle maggiori organizzazioni musulmane, Muhammadiyah e Nahdlatul Ulama. Con loro Suharyo ha preso apertamente posizione contro ogni forma di radicalismo e di estremismo islamico, che ha fatto capolino nell’arcipelago negli ultimi anni, foraggiato anche dallo Stato Islamico (Isis). Il fine dell’arcivescovo, delle istituzioni politiche, dei leader musulmani è risvegliare tra i cittadini indonesiani un senso di nazionalismo e di impegno nei confronti dei valori della Pancasila, la «carta dei cinque principi» (fede nell’unico e solo Dio; giustizia e civiltà umana; unità dell’Indonesia; democrazia guidata dalla saggezza interiore; giustizia sociale per il popolo) che resta alla base della convivenza nazionale.
Sarà che il nuovo cardinale – una porpora che torna nell’arcipelago dopo quella del gesuita Julius Riyadi Darmaatmadja, ritiratosi per motivi d’eta nel 2010 – è originario dell’area di Yogyakarta, città sull’isola di Giava, che ha uno statuto speciale: è, infatti, l’unica provincia indonesiana che ha come capo civile e amministrativo un sultano, Hamengkubuwono X, che guida una mini-teocrazia locale – eccezione istituzionale nell’impianto statale – da quando suo padre, mezzo secolo fa, diede un contributo notevole alla lotta per l’indipendenza dagli olandesi e poi accettò di far parte della Repubblica indonesiana. Yogyakarta è una città che ha nel suo Dna il pluralismo religioso e la convivenza armonica. Nel contesto di quella provincia sociale è fisiologico condividere studio, lavoro, cultura, relazioni umane con persone di altra fede e cultura.
Sarà che Suharyo era un 17enne di belle speranze quando, nel 1967, ha visto la nazione sprofondare sotto la dittatura del generale Mohammad Suharto e ha vissuto da prete a da parroco, nella sua arcidiocesi di Semarang, sull’isola di Giava, il suo servizio pastorale, accogliendo la sofferenza, le sfide e le speranze di una popolazione messa alla prova negli anni di oppressione. Chiamato, poi, a guidare la sua arcidiocesi nel ministero episcopale nel 1997 da Giovanni Paolo II, Suharyo ha seguito la lotta di liberazione e la nuova stagione della democrazia indonesiana in un percorso che ha accompagnato con saggezza ed esperienza, sempre ricordando un riferimento ineludibile: la Pancasila, quel patto originario di convivenza e stabilità nella nazione che, afferma a Vatican Insider, «ha un’anima multiculturale e multireligiosa» che servirà a proteggerla dal virus dell’estremismo che attacca le cellule sane dell’islam indonesiano. Quell’anima, la comunità cattolica dell’arcipelago (circa il 3% su 250 milioni di cittadini all’85% musulmani) rimarca di averla fieramente in petto, sentendosi parte integrante della nazione.
Chiamato alla guida dell’arcidiocesi di Giacarta da Benedetto XVI dal 2010, Suharyo, ricordando la storia e l’origine di quello che definisce «il miracolo dell’’Indonesia», rileva che «i cristiani ne sono parte, fin dall’inizio, con orgoglio e gratitudine, tanto che ogni anno celebrano una speciale Eucarestia per l’indipendenza del paese».
In tale prospettiva oggi, l’Arcivescovo auspica uno sforzo comune di istituzioni politiche, leader religiosi, società civile, militari per sconfiggere ogni tentativo di avvelenare la convivenza con ideologie condite da radicalismo religioso e violenza. Per questo ha trovato una speciale sintonia con il presidente indonesiano Joko Widodo, originario della sua stesa provincia, in quel distretto giavanese di Yogyakarta. E ha più volte ricordato quanto sia cruciale il contributo delle maggiori organizzazioni dell’islam indonesiano, nel condurre i milioni di seguaci su una via di moderazione, accoglienza, rispetto della dignità umana, scevra da ogni odio o fanatismo religioso.
È sintomatico che la nomina di Suharyo giunga mentre la sua arcidiocesi di Giacarta stava celebrando «L’Anno della saggezza»: un tempo, il 2019, in cui il focus è rivolto soprattutto alle questioni sociali e a come affrontarle e viverle con lo spirito evangelico, secondo il messaggio di Cristo. Negli ultimi quattro anni, ha spiegato il neo cardinale di Giacarta, la Chiesa locale ha cercato di inserire nel piano pastorale una specifica riflessione sui valori filosofici della Pancasila. Un’urgenza avvertita dalla Chiesa cattolica e da altre organizzazioni della società civile, per «contribuire al bene comune della nazione». E, in questo percorso di sensibilizzazione, è stata presentata la figura di papa Francesco come «uomo di preghiera e compassione, che mostra l’amore e l’umiltà», notando che tale atteggiamento può essere «un buon modello per ogni cittadino che vuole servire le persone nella nazione».